Ha la voce pacata al telefono l’avvocato Basilio Milio e, senza volerlo, cita la frase che mi disse il Capitano Ultimo: “Mi domandi tutto quel che vuole”. D’altronde, oltre che essere l’avvocato del generale Mario Mori, l’avvocato Basilio Milio resta pur sempre un ex carabiniere e quindi senza paura della verità. In questa esclusiva intervista per L’Opinione racconta come si è arrivati all’assoluzione del generale Mori e degli altri ufficiali del Ros che coordinarono il clamoroso arresto di Totò Riina.
Avvocato Milio, la Corte di Appello ha accertato la realtà dei fatti: non ci fu alcuna “trattativa Stato-Mafia”. Sono stati smontati i contributi di Brusca e Ciancimino?
Ovviamente attendiamo di leggere le motivazioni della sentenza, ma già si può certamente dire che nessun credito verrà dato a Massimo Ciancimino, ritenuto inattendibile perfino dalla sentenza di primo grado che, va ricordato, aveva condannato il generale Mori a dodici anni di reclusione per minaccia al Governo italiano. Per quanto riguarda Giovanni Brusca, ritenuto attendibile nella sentenza di primo grado, va detto che altri giudici, vale a dire quelli che avevano assolto Mori, nel 2013, per il cosiddetto mancato blitz di Mezzojuso, avevano ritenuto quelle stesse dichiarazioni vaghe e fumose. Vedremo che diranno i giudici della Corte di Assise di Appello. Una cosa è sicura: l’assoluzione del generale Mori è indicativa della circostanza che, per i giudici, la “trattativa Stato-mafia” non esiste ma è un’invenzione. Ciò peraltro è in perfetta sintonia con altre sentenze, ben sette ormai, che hanno esaminato gli stessi fatti nei precedenti processi a carico di Mori e in quello che ha visto assolto il coimputato Calogero Mannino. In quelle decisioni, ormai definitive, si dice a chiare lettere che i contatti tra gli ufficiali del Ros, Mori e De Donno, e l’ex sindaco di Palermo, Vito Ciancimino, non furono una “trattativa” né furono finalizzati a intavolare alcuna “trattativa”. Si trattò, infatti, di un’attività info-investigativa dei carabinieri, consistente nel contattare una fonte confidenziale, per l’appunto il Ciancimino, al fine di avere informazioni utili alla cattura dei latitanti allora liberi, Riina e Provenzano in primis, e così arginare l’offensiva stragista in atto nel 1992. Un’attività pienamente legittima, rientrante per legge nelle competenze dei carabinieri e che, una sentenza del Tribunale di Palermo del 2013, ha qualificato addirittura come “lodevole e meritoria” in un tragico momento per il nostro Paese, dove i magistrati saltavano per aria e lo Stato era in ginocchio.
In questi anni il generale Morì ha sempre rivendicato la sua estraneità ai fatti contestati dalla Procura di Palermo.
Il generale Mori ha sempre rivendicato di aver agito con correttezza, nell’ambito delle sue funzioni e nel rispetto della legge. Nell’arco di quasi un ventennio, ormai, ha subito ben tre processi, dai quali è stato sempre assolto e nei quali è stata riconosciuta la legittimità del suo operato. Resta il rammarico perché un leale servitore dello Stato ha dovuto passare un quarto della sua vita a difendersi da accuse infondate e per la gogna mediatica alla quale è stato ingiustamente sottoposto. Tutto questo ritengo faccia di lui il “nuovo Enzo Tortora”.
Nel docufilm di Ambrogio Crespi “Generale Mori-Un’Italia a testa alta” si racconta di un uomo che ha destinato il proprio impegno alla lotta contro il terrorismo e poi contro la mafia. Il docufilm di Crespi è stato utile nel percorso di giustizia e verità?
Ho visto il docufilm ed è molto ben fatto. Non credo, però, che sia servito processualmente per accertare la verità, nemmeno in termini di “convincimento” dell’opinione pubblica. La verità è venuta fuori semplicemente perché giudici onesti, scrupolosi, attenti e professionalmente attrezzati hanno valutato fatti, documenti e testimonianze e non si sono fatti suggestionare dai condizionamenti mediatici e dai pregiudizi.
La figlia di Paolo Borsellino, Fiammetta, si è espressa apertamente in difesa del generale Mori e degli altri ufficiali del Ros e ha avanzato grandi dubbi su tutto l'impianto accusatorio della procura di Palermo.
Non ho il piacere di conoscere la dottoressa Borsellino. Ho letto le sue dichiarazioni a mezzo stampa. Sono sicuro che, avendo assunto quelle determinazioni e quelle posizioni, lo abbia fatto con cognizione di causa avendo a disposizione le prove che dimostrano quanto affermato. Le quali, probabilmente, sono le stesse che hanno portato all’assoluzione del generale Mori.
A oggi se qualcuno le chiedesse perché è morto Paolo Borsellino cosa risponderebbe?
Le rispondo con le dichiarazioni di due pentiti di rango, Angelo Siino e Antonino Giuffrè; Paolo Borsellino è morto perché la mafia temeva, per un verso, che potesse prendere il posto di Giovanni Falcone alla Superprocura e, peraltro, che da Roma o anche da Palermo potesse continuare il lavoro del dottor Falcone attinente ai rapporti tra mafia, politica e imprenditoria nella gestione degli appalti pubblici. Questo era il chiodo fisso di Paolo Borsellino negli ultimi cinquantasette giorni della sua vita. Di questa indagine parlò con Antonio Di Pietro davanti al feretro dell’amico e collega ucciso a Capaci, chiedendogli di coordinare le indagini milanesi e palermitane. Chiese al capitano De Donno se fosse disponibile a continuarle avendo in lui l’unico referente e lo fece in un incontro segreto alla presenza anche di Mori. Incontro che si tenne presso una caserma dei carabinieri, a Palermo, perché Borsellino non volle avvenisse in tribunale, atteso che non si fidava dei suoi colleghi. E fino a cinque giorni prima di morire, il 14 luglio, nel corso di una riunione della Procura di Palermo – da lui definita “un nido di vipere” – difese i carabinieri davanti ai suoi colleghi, chiedendo loro conto e ragione del perché quell’indagine su mafia e appalti non aveva avuto, come lamentavano gli ufficiali del Ros, adeguati sbocchi processuali.
L’ultimo passaggio di questa vicenda sarà il pronunciamento della Cassazione, come vi preparerete?
Attenderemo di sapere se la Procura generale di Palermo farà ricorso per Cassazione. Se ciò accadrà andremo dinnanzi alla Suprema Corte serenamente, coscienti che la verità dei fatti è quella che abbiamo sempre sostenuto e che le sentenze assolutorie nei confronti di Mori hanno certificato. Perché, vede, sovente – e le “vedove inconsolabili” della “trattativa” lo hanno ripetuto anche in questi giorni – si dice che la “verità processuale” è una cosa e quella “storica” un’altra, ma in questa vicenda le due verità coincidono perché gli accadimenti si sono realmente verificati come stabilito nelle decisioni che hanno visto sempre assolti Mori e gli altri ufficiali dei carabinieri, di volta in volta, processati insieme a lui dalla Procura di Palermo.
Aggiornato il 29 settembre 2021 alle ore 10:14