I provvedimenti normativi o amministrativi relativi alla situazione sanitaria creata dal Coronavirus fanno vieppiù riferimento ai “congiunti”. Ma nessuno sa chi esattamente siano o si debba ritenere che siano. Ci proviamo noi, a farlo, sottolineando – anzitutto – che davanti a un giudice (dove ci si può trovare per contestare, ad esempio, una sanzione amministrativa comminata da un provvedimento e applicata da qualche avente titolo) vale solo, con certezza, quanto stabilito da una legge o da un atto con forza di legge (non contano, dunque, se non esclusivamente in via interpretativa, le circolari, che sono vincolanti solo per i dipendenti della Pubblica amministrazione nell’ambito della quale la stessa è emanata, o quell’altro strumento dell’attuale paradigmatica decadenza normativa che sono le Faq (Frequently asked questions, le ‘domande poste frequentemente’), dinosauri inventati dalla burocrazia che compaiono sui siti ministeriali per rispondere a quesiti e che non sono tra l’altro firmate, per quanto risulta, da alcuno che se ne assuma la responsabilità quantomeno morale).
Oggi come oggi, i “congiunti” (anzi, i “prossimi congiunti”) sono considerati nell’art. 307, 3° comma, del codice penale ad indicare espressamente – come si faceva una volta – nel secondo capoverso, come anche modificato, “gli ascendenti, i discendenti, il coniuge, la parte di un’unione civile tra persone dello stesso sesso, i fratelli, le sorelle, gli affini nello stesso grado, gli zii e i nipoti” con precisazione che nella denominazione “non si comprendono gli affini, allorché sia morto il coniuge e non vi sia prole”. L’affinità, com’è noto, è “il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge”, così come la parentela è “il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”.
I “congiunti” sono poi citati come tali (ed è il virus linguistico che si è inserito nella normativa anti-virus sanitaria) nel Dpcm del 26 aprile 2020 per consentire gli spostamenti “per incontrare congiunti”, senza peraltro specificare quali siano i congiunti. Al proposito, va poi ricordato che nello stabilire i soggetti che hanno diritto ad un ristoro da danno non patrimoniale, la Cassazione (sentenza 10.11.2014, n. 46.351) ha ampliato il concetto di “prossimi congiunti” – anche richiamando la sentenza Cassazione Sez. Un. n. 26.972/‘08 – comprendendo sostanzialmente negli stessi i soggetti collegati “da saldo e duraturo legame”, non considerando come elemento necessario la convivenza e ciò in applicazione dell’articolo 2 della Costituzione che attribuisce rilevanza costituzionale “alla sfera redazionale della persona”.
In sostanza, continuità nel tempo e stabilità intesa come non occasionalità vengono considerati elementi portanti della definizione di congiunti e, quindi, come un insieme di persone caratterizzate “da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti” (nel caso specifico, si trattava di una fidanzata della vittima).
In una delle precitate Faq si aggiunge poi che possono considerarsi inclusi – oltre che i soggetti del precitato art. 307 codice penale – i partner conviventi, i parenti fino al sesto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro) e gli affini fino al quarto grado (come, per esempio, i figli dei cugini tra loro). È da aggiungersi che il Dl n. 125 del 7 ottobre scorso fa dal canto suo riferimento solo alle “persone non conviventi”.
Una gran confusione – in sostanza – per cui al lato pratico occorre, volta per volta, farsi dire dal soggetto interessato quale sia l’interpretazione che lo stesso dà del termine di cui si è discorso. Che non avrà alcun valore davanti ad un giudice (tanto più se non esplicitato espressamente) ma servirà ad evitare perdite di tempo con richiami del momento.
(*) Presidente Centro studi Confedilizia
Aggiornato il 14 ottobre 2020 alle ore 12:56