La violenza di genere

Le radici del problema sulla violenza di genere sono sicuramente antiche. Omicidio passionale, abbandono del tetto coniugale, atti di libidine violenta e stupro, sono reati che, nella storia recente, sono stati eliminati o ridisegnati in base alla logica dei tempi; tutto ciò ha comportato un graduale stravolgimento del tradizionale impianto del “Codice Rocco”.

Già la Carta costituzionale, approvata dall’Assemblea costituente il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il primo gennaio del 1948, all’articolo 2, comma I, riconosce i diritti inviolabili sia all’individuo come singolo, sia ai membri di aggregati sociali. Per il dettato dell’art. 3, tutti i cittadini hanno pari dignità, senza distinzione di sesso, razza, religione (cfr comma I).

A partire dalla XVII legislatura, con la ratifica della Convenzione di Istanbul, il Parlamento italiano ha adottato una serie di misure volte a combattere la violenza verso le donne, punendo i colpevoli e proteggendo le vittime. Sono state così introdotte nell’impianto del codice nuove ipotesi di reato legate alla violenza di genere. Nel contempo, si è assistito ad un inasprimento delle pene per crimini già esistenti, anche in virtù dell’aggravante delle “relazioni personali” tra la vittima ed il reo: Legge 19 luglio 2019, n. 69 - Tutela delle vittime di violenza domestica e di genere - c.d. Codice rosso (Gu 25.07.2019).

La norma reca modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e ad altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere che vengono ricondotte alle seguenti fattispecie: maltrattamenti contro familiari e conviventi (art. 572 cp); violenza sessuale, aggravata e di gruppo (art. 609-bis, 609-ter e 609-octies cp); atti sessuali con minorenne (art. 609-quater cp); corruzione di minorenne (art. 609-quinquies cp); atti persecutori (art. 612-bis cp); diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (art. 612-ter cp); lesioni personali aggravate e deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso; costrizione o induzione al matrimonio o a unione civile (art. 558-bis). Inoltre, s’intende punire con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque violi gli obblighi o i divieti derivanti dal provvedimento che applica le misure cautelari dell’allontanamento dal domicilio del ricorrente (art. 282-bis cpp) e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa (art. 282-ter cpp) o l’ordine di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare (art. 384-bis cpp).

È da evidenziare come la legge tenda a considerare aggravante il fatto che i reati siano stati perpetrati in ambiente familiare o di convivenza, anche quando i rapporti matrimoniali o di convivenza siano cessati. Nella ratio del legislatore è, infatti, sotteso il concetto che in tali ambiti subentri una sudditanza psicologica che renda la vittima ancora più inerme e la constatazione che i rapporti di coppia, parentali e di coabitazione, che dovrebbero innalzare le relazioni interpersonali su un livello di affettività, vengono ribaltate, costringendo l’oppresso spesso anche in un inconsapevole baratro di orrore.

Infine, va rilevato che nei reati di genere la relazione esistente tra l’autore delle molestie e la vittima può variare. I due soggetti, infatti, possono conoscersi o essere perfetti estranei. Anche le condotte e i modi di agire intrusivi e ripetuti, che si configurano come molestie, possono essere diversi. Il dato che li accomuna è la sofferenza che provocano, una sofferenza che spesso rimane sommersa.

I reati di genere, femminicidi compresi, non arrivano inaspettati, ma sono preceduti da una serie di comportamenti che costituiscono altrettanti segnali di rischio e, quindi, possono essere individuati per mettere in moto meccanismi di prevenzione e di protezione. Si tratta di una serie di elementi che fanno riconoscere i soggetti propensi a ripetere e aggravare i maltrattamenti e le donne considerate più vulnerabili. Tra i campanelli d’allarme, ad esempio, ci sono gli atteggiamenti aggressivi, la propensione a cercare di ridurre o eliminare l’impegno al lavoro della vittima, ergo la sua stessa indipendenza, un eccessivo senso del possesso. Vietare alla propria partner di uscire, di frequentare persone, isolarla dal mondo o imporle come vestirsi sono segnali di un comportamento vessatorio, non equilibrato, che può sfociare nella violenza verbale e/o fisica. Le donne sono considerate più esposte ad abusi gravi se, hanno un atteggiamento affettivo ambiguo (come accettare di rivedere l’ex, dimostratosi violento), oppure se costrette da necessità oggettive a incontrarlo di nuovo (per la prole, per motivi di lavoro o perché abitano in un piccolo centro o in un centro ove i luoghi d’incontro possono essere noti e facilmente raggiungibili).

A questo articolo, seguirà una disamina dello stalking: il cosiddetto reato di atti persecutori.

Aggiornato il 12 ottobre 2020 alle ore 11:32