La cosiddetta scommessa “green” è di fatto un accordo speculativo che, nel giro di pochi anni (entro il 2025), si propone di sconvolgere l’economia mondiale, costringendo miliardi di cittadini ad acquistare auto, moto, bici e monopattini elettrici.
Di quest’accordo speculativo fanno parte le varie normative europee che mettono fuori legge l’autoriparazione, le officine, le carrozzerie, il restauro di auto e oggetti vari, la lavorazione di metalli (metodiche di saldatura, sabbiatura, nichelatura, cromatura). In questo binario s’incardinerà anche l’obbligo di dichiarare classe energetica e categoria euro di ogni elettrodomestico all’amministratore di condominio (se la caveranno quelli che vivono in case indipendenti da vincoli condominiali, soprattutto se fuori dalla cinta urbana).
Una manovra planetaria che genererà miliardi di disoccupati, di non più occupabili, di nuovi poveri (irreversibili), d’indigenti in attesa di un piano di “povertà sostenibile”. In questo rimescolamento, ovviamente, ci saranno numerosi resilienti, chi troverà altre collocazioni lavorative o stili di vita. Rimane il fatto che, ad orchestrare questa rivoluzione, che sconvolgerà le vite di miliardi di esseri umani, è l’accordo tra colossi industriali, banche e strutture finanziarie, assicurazioni, fondi pensione e multinazionali informatiche. Attraverso leggi partorite da parlamenti corrotti obbligheranno i cittadini a cambiare auto, frigorifero, lavatrice, motorino e anche se la macchina risultasse efficiente. Con queste politiche si va ben oltre l’obsolescenza tecnica.
Questa inchiesta muove i primi passi grazie a Manlio Lo Presti, che come blogger alimenta quotidianamente il sito “Detti e Scritti”. Nella sua inchiesta “E la centralinista di Bankitalia/Ivass rispose al cittadino...” del 27 agosto scorso ha dimostrato come l’ufficio della Banca d’Italia che dovrebbe vigilare sulle assicurazioni, di fatto è complice della reticenza delle compagnie. Alle ore 8,59 dello scorso 27 agosto, Manlio Lo Presti telefonava al numero 06/421331 dell’Ivass, e dall’altra parte rispondeva la Banca d’Italia. Il blogger chiedeva un contatto con l’Ufficio studi dell’Ivass. Attendeva due minuti e trentotto secondi. Quindi la centralinista riprendeva la chiamata, rispondendo che non era riuscita a “trovare il ridetto ufficio”. Lo Presti non nascondeva lo stupore per la mancata risposta da parte di un prestigioso (e storico) organo di vigilanza. Ma cosa voleva sapere il nostro dall’introvabile Ufficio studi dell’Ivass?
Premettiamo che Lo Presti s’era non poco allarmato dopo aver letto una ricerca (13 pagine in formato pdf) effettuata dalla Allianz Global Corporate & Speciality, quindi voleva conoscere “l’incidenza media ponderata dei morti da sinistri con auto elettriche, e prima di comprarne una”, scrive il blogger. Il curiosone aveva notato che “nel documento la Allianz esprime più di una perplessità sui pericoli mortali indotti dalle pesantissime batterie in dotazione a queste vetture”. E “la ricerca ha il pregio di esporre con chiarezza e senza troppi tecnicismi, né giri di parole né incomprensibili e impronunciabili acronimi - continua Lo Presti spiegando i contenuti del documento Allianz - che esiste un serio problema sulla efficacia della protezione del passeggero dalla folgorazione e/o intossicazione da batteria che fuoriesce dal suo alloggiamento quando, in caso di collasso strutturale da collisione, va a contatto con parti di lamiere conduttrici di shock elettrico omicida e in caso di fuoriuscita dei liquidi contenuti”. “L’esito surreale della chiamata all’Ivass/Banca d’Italia non mi ha per nulla scoraggiato - confessa il blogger - e provo a chiamare l’Ania alle ore 10,50 dello stesso giorno, e al numero 06/36268811. L’operatore mi rimanda ad un altro numero (0277/64444) fornendo gentilmente una correlata e-mail ([email protected]). Il ridetto operatore Ania mi avverte che ‘tali riferimenti sono operativi dal primo di settembre 2020 - spiegano a Lo Presti - perché il personale è in ferie nella sua totalità’”.
Il nostro trova inspiegabile che un organismo che rappresenta l’importantissimo settore assicurativo non faccia rotazione del suo personale. Lo Presti ne deduce che “nel settore assicurativo accade di peggio di quando capita nelle pubbliche amministrazioni centrali, regionali, ex provinciali, comunali, circoscrizionali!”.
In nostro non demorde, quindi inizia una ricerca veloce in rete. “Trovo oltre quaranta collegamenti - scrive Lo Presti - ma in nessuno di questi è possibile trovare i dati disaggregati del numero dei morti da incidente in auto elettrica. Qualche sito riferisce che le tariffe assicurative delle auto elettriche sono più alte. Forse i calcoli delle probabilità attuariali inducono ad una tariffazione più altra o, perlomeno, differenziata anche per casa automobilistica produttrice?”.
Il blogger fa una rapida analisi: “Ad una prima lettura, la differenza al rialzo dei premi assicurativi (probabilmente diversi per compagnia) sembra che sia dovuta: agli altissimi costi di riparazione del veicolo incidentato; agli altissimi costi dei ferimenti quasi tutti gravissimi; alla percentuale di morti. Ma sono - puntualizza il nostro Manlio - prime impressioni di un cittadino che vuole saperne qualcosa di più preciso su un tema così delicato”.
Ma a questo punto il blogger si accorge che i dati non ci sono e s’imbatte nel un muro di gomma del sistema: “Dicono d’agire sempre nell’interesse degli italiani ed in nome della trasparenza e della semplificazione... ma sono solo parole!”.
Ma analizziamo. A detta del gentile operatore, “gli uffici dell’Ania sono chiusi per vacanza estiva di tutto il personale!”. Poi i centralini dell’ex istituto centrale non sono stati in grado di dare indicazioni né riferimenti, utili a informazioni per contattare un ufficio studi e per avere dei dati. Così Lo Presti si domanda “perché non esistono dati di facile consultazione, sia pure riportati nei siti di settore e di categoria? Perché, ad un mio primo esame, nessuna associazione di consumatori ha proceduto ad una ricerca specifica sulla incidenza della mortalità da auto elettriche? Perché i giornali non ne parlano apertamente? Effetto silenzio dovuto alla titanica magnitudine delle somme investite sulle auto elettriche per migliaia di miliardi e che, quindi, non va disturbato il manovratore?”.
Chiariamo che quanto riportato nell’articolo è frutto della buona fede (e buona volontà) di un cittadino intenzionato ad acquistare l’auto elettrica. Oggi Manlio è più diffidente che mai. E la nostra ricerca continua. Scopriamo come, un cenacolo d’ottimati avrebbe avvicinato gli assessorati regionali ai trasporti per cercare di scardinare il diritto di proprietà del cittadino sulla vettura. Volgarizziamo. Per indurre i cittadini a rottamare la propria vettura, quindi optare per veicoli noleggiati elettrici o ibridi, hanno solleticato la politica perché partorisse leggi che facessero scadere l’omologazione (italiana ed europea) per vetture e moto decennali a benzina e diesel. In parole povere consentire alle polizie locali di rottamare d’imperio le auto dei cittadini, seppur revisionate, bollate ed assicurate: legge che avrebbe colpito anche il settore collezionistico e d’epoca. Trovata che certo non risolverebbe il problema dell’inquinamento: l’industria che costruisce auto elettriche ha comunque grande impatto ambientale, soprattutto ha già problemi sullo smaltimento delle batterie. Non paghi, e nel parleremo nella prossima puntata, hanno già iniziato a mandare in tilt (attraverso i loro informatici) gli elettrodomestici con scheda (quindi microchip) con più di quattro anni di vita: questo per fare in modo che i cittadini abbiano in casa frigoriferi e lavatrici sempre a norma Ue, con giusta classe energetica e categoria euro. A questo punto la green economy assume la forma di un nuovo e più cruento consumismo, anche se tinteggiato di verde.
Aggiornato il 18 settembre 2020 alle ore 14:23