Covid-19: per la fase 2 serve una struttura per il monitoraggio e la prevenzione

Il Sars-CoV-2, il virus che sta causando la pandemia in Italia, è sostanzialmente uno sconosciuto. Non sappiamo nulla di lui, ma sappiamo solo che si trovava tranquillo in una caverna cinese nell’organismo di un pipistrello e che poi è stato trasportato in un mercato a Wuhan vicino a un pangolino (un formichiere). Lì ha deciso di vendicarsi e ha fatto il salto di specie arrivando a noi esseri umani.

Negli ultimi anni il rischio di pandemie globali sta crescendo (vedi Ebola, Sars, Mers). Qualcosa non va nel mondo e i virus, i veri padroni insieme ai batteri di questo pianeta, se ne approfittano.

Un virus con un genoma da meno di 30mila nucleotidi ci sta bloccando a livello mondiale, ma pur conoscendo il suo genoma non sappiamo molto su di lui a livello epidemiologico.

La triste realtà è che non sappiamo con esattezza quanto è infettivo, che capacità ha di diffondersi e non abbiamo una cura che lo rallenti. Purtroppo, non c’è neanche un vaccino e una profilassi comune a livello nazionale. Sappiamo ben poco del virus e questo è il principale limite che sta bloccando l’Italia che è anche totalmente disorganizzata.

L’unica arma per combattere un avversario sconosciuto è l’organizzazione che deve fornire una risposta rapida ai decisori politici ed è proprio questo quanto Roberto Burioni e altri noti virologi hanno proposto chiedendo un organismo di intervento rapido (Mfr, l’acronimo di Monitoraggio a risposta flessibile) che coordini con le misure epidemiologiche e gli interventi sul territorio nazionale.

L’esempio tipico di mancanza di coordinamento è la Regione Lazio dove dallo scorso 1° marzo ad oggi l’epidemia ha costantemente aumentato il numero di malati senza mai ridurli.

Il Lazio è una regione a macchia di leopardo: il contagio è prevalente nell’area metropolitana di Roma, mentre è minimo (anche di 4 volte minore) nelle altre province e lontano dai centri abitati ad alta densità di popolazione.

In pieno distanziamento sociale, ad esempio, il comune di Campagnano di Roma ha dichiarato recentemente di essere una nuova “Zona Rossa”, vietando gli spostamenti e chiudendo ulteriormente le attività rispetto alle già poche previste dai dpcm del governo.

Dall’inizio dell’epidemia sono stati fatti meno di 5mila tamponi in tutta l’area dell’Asl Roma 4 (ne fa parte anche il comune sopraindicato) a fronte di 74mila effettuati in tutto il Lazio per una popolazione totale di 5.879.000 di abitanti.

In Veneto, invece, sono stati eseguiti oltre 200mila tamponi per una popolazione di 4.906.000 abitanti.

La mancanza di una profilassi comune a livello nazionale ha causato nuove zone rosse nel Lazio, mentre in Veneto si assiste a un calo del numero di positivi.

Aggiornato il 20 aprile 2020 alle ore 13:15