Covid-19 ed ecologia integrale

L’esortazione “Querida Amazzonia” di Papa Francesco (2019) è passata in sordina nel dibattito italiano. Scarso è stato l’interesse per i suoi contenuti e debole il risalto mediatico, come se si trattasse di una questione d’interesse solo per le popolazioni indigene. Invece, i temi trattati non sono estranei alle inquietudini culturali dell’Occidente. Il monito sulle miserie sociali rinvia soprattutto alle terre amazzoniche, ma gli avvertimenti sulla rottura dell’equilibrio ecologico globale rivelano un’indiscutibile rilevanza anche per noi. C’è una comunanza, e una verità, che tiene unite tutte le aree del mondo: l’uomo è intimamente connesso alla terra e ai suoi elementi naturali. Assieme formano un tutt’uno. Questa verità, che definiamo un po’ pomposamente di equilibrio ecologico integrale, in Amazzonia si esprime, per antica tradizione, nel valore della sacralità del rapporto tra l’uomo e la natura. Da qui il legame sacrale con la terra, Pacha Mama, Sacra madre terra.

Le popolazioni indigene l’hanno sempre saputo. La terra dà e reciprocamente riceve, in un rapporto simbiotico, circolare diremmo noi, che rivendica reciproco rispetto. Una verità questa che l’Occidente riscopre ma solo nell’ambito dell’unica logica che conosce, quella economicista, dell’uso e del riuso efficiente delle risorse naturali. L’esortazione pontificia va ben oltre. Nel contesto di un messaggio ricco di laicità, destinato alla sensibilità dei credenti e non credenti, stimola la naturale tensione umana ad andare oltre l’essenza, proponendo un percorso non tradizionale, che oltrepassa la mera dimensione biologica dell’essere. Lo fa invocando, ad esempio, l’arte e la poesia, attraverso un linguaggio che può incoraggiare nuove comprensioni, capaci di descrivere un modo di essere delle cose e del mondo non sempre oggettivizzato (Laudato sì). In questa dimensione la natura, il territorio, gli spazi possono non essere solo natura e possono acquistare un senso diverso, al di fuori e al di sopra dell’orizzonte calcolante, in una percezione diversa, capace di dischiudere nuove verità.

Su queste basi le recenti Costituzioni dell’Equador (2008) e della Bolivia (2009), hanno riconosciuto per esempio che anche la natura gode di una propria personalità giuridica e di propri diritti, di rango costituzionale, allo stesso modo degli esseri umani. Dunque, superando la tradizionale concezione antropocentrica del mondo, la Terra acquista, una propria vissuta soggettività, meritevole del riconoscimento di un proprio posto nella schiera dei titolari di diritti. In verità, nelle terre d’Amazzonia, soprattutto tra le popolazioni indigene, vige un diverso modo d’intendere il rapporto tra gli uomini e le cose.

La terra non è solo utilità, risorsa economica. Non offre solo cibo e piante medicinali, ma esprime uno specifico valore simbolico dei luoghi e delle persone. I luoghi appartengono alle persone e le persone sono parte viva dei luoghi. Le tristissime giornate in compagnia del Covid-19 sembrano stimolare anche in Occidente diverse modalità di convivenza. Guai a fare della natura un uso scriteriato, esasperato oppure, ciò che è peggio, manipolato. La parola d’ordine “io resto a casa”, pur suonando come un messaggio di segregazione e di confino, l’opposto di ogni senso di convivenza, a ben vedere riveste un diverso significato. Testimonia che, pur all’interno di un involucro apparentemente individualistico, ognuno si salva se si salvano tutti. La globalizzazione, con tutte le sue contraddizioni, un risultato l’ha raggiunto.

Ci ricorda che l’umanità è una. Il Covid-19 unifica individui e luoghi, esseri animati e natura inanimata, confini geografici e molecolari. Tutto è contaminato perché la natura è integrale. Oltre ogni apparente individualismo, lo si vede bene, il virus rinserra i legami tra gli uomini che, pur nella propria desolante individualità, si ritrovano necessariamente uniti, per il fatto di convivere sulla stessa madre terra.

Aggiornato il 31 marzo 2020 alle ore 12:16