Il crimine di certo sottocosto

Già riscontrabile da ogni lettore, desidero ringraziare il quotidiano L’Opinione, nonché il direttore Arturo Diaconale, per la vera libertà, appunto d’opinione, che vige nel giornale. Passando ora al tema richiamato nel titolo, è purtroppo appurato che stiamo vivendo un’epoca in cui la tirannia del crimine è tanto diffusa da sovvertire la normalità ed è triste constatare come essa abbia facile genesi e sopravvivenza a causa di certa incapacità pubblica di punirla. Prendiamo, tra tanti, il noto capitolo che passa sotto il nome del riciclaggio di denaro.  Per riciclaggio di denaro, s’intente quell’insieme di operazioni attraverso le quali i capitali di provenienza illecita e criminale possono riacquistare una parvenza di liceità e rendersi liberamente utilizzabili.

Per capirci, passiamo ad un esempio e poniamo che qualcuno abbia sotterrato nel suo giardino, un paio di sacchi che contengono cento milioni di Euro derivanti da certo “pizzo” riscosso o certe vendite di droga o certo smaltimento di rifiuti o cose simili. Poniamo poi che desideri comprare una super villa al mare e magari anche una bella automobile Ferrari. Come può il nostro “amico” utilizzare i due sacchi di Euro sotterrati, se non esiste alcuna ufficialità di essi? Purtroppo, utilizzarli è addirittura semplice. Basta costituire o fare costituire da terzi una qualsiasi attività produttiva o commerciale e mettere sul mercato dei prodotti a sottocosto; vanno bene alberghi, nightclub, negozi tradizionali oppure online, catene organizzate e via discorrendo. Insomma, il nostro “amico” dissotterra i due sacchi di Euro e, come avviene anche regolarmente, li impiega per la costruzione e la vendita di prodotti, ma con una “piccola” differenza rispetto ai normali investimenti. Il suo fine, infatti, non è quello di guadagnare, ma di rendere regolare, si fa per dire, la sporca provenienza di quei due sacchi di denaro. Insomma, non investe quei cento milioni per realizzare dei guadagni, ma per vendere qualcosa a sottocosto, ovvero in perdita, in modo da trasformare quei cento milioni sporchi, diciamo in una settantina di milioni “puliti”.

In una realtà economica dove s’impegna il genio e il sacrificio per meritare dei guadagni, il riciclatore non si preoccupa di investire in perdita perché il suo fine è quello di “pulire”. Un’attività che punta al riciclo di denaro sporco, può aprire e chiudere in un tempo predeterminato, può rendere ingarbugliati i suoi atti costitutivi e anche il suo sviluppo, ma è difficile che s’impegni in attività di piccola e perfino media fatturazione, proprio come quelle che il nostro regime fiscale perseguita. La possibilità di beccare quei criminali esiste e non disconosco le iniziative istituzionali che hanno saputo farlo, ma devo purtroppo ammettere che dette iniziative sono molto meno numerose dei lestofanti che continuano ad agire indisturbati.   

Aggiornato il 23 gennaio 2020 alle ore 12:20