I campi di battaglia della grande guerra procurarono milioni di morti e due illustri vittime: il socialismo e la massoneria. L’uno e l’altra avevano invocato la pace universale, l’unione di tutti gli uomini poi, invece, fra le trincee e i cavalli di frisia, i “compagni” dei primi e i “fratelli” dei secondi si erano scannati senza pietà. Ancora una volta si era dimostrato valido il teorema che la guerra cancella l’ideale e genera mostri.
L’Italia post bellica conobbe contemporaneamente la vittoria e il disastro economico, seguito da una profonda crisi politica e sociale; in tale humus sbocciò la turpe pianta del fascismo. La massoneria, in un primo momento, simpatizzò per il nuovo soggetto politico, considerandolo portatore di stabilità e di ordine, ma ne fu mal ripagata.
Nel 1923 Mussolini, che già da socialista l’aveva combattuta, fece statuire dal Gran Consiglio del fascismo, l’incompatibilità fra partito e massoneria. Con questa mossa egli tranquillizzò i popolari, accontentò i nazionalisti, getto le basi per un dialogo con la Chiesa e mise sugli attenti i ras che cingevano il grembiulino. Intanto, mentre le violenze contro i liberi muratori e le loro sedi si moltiplicavano, “l’uomo del destino” portò in aula un progetto di legge che bandiva la libera muratoria. Pochissimi si opposero o dubitarono. Gramsci, ad esempio, affermò: “chi è contro la massoneria […] è contro la tradizione politica della borghesia italiana” e il senatore Francesco Ruffini sentenziò che quelle norme miravano a demolire “l’imponente edificio del diritto di associazione”. Furono voci isolate, la legge passò il 20 novembre del 1925, a grande maggioranza e sulla massoneria calò il sipario.
Le logge riaprirono i battenti con la Liberazione, ma l’ormai storica idiosincrasia di diversi settori ideologici verso la squadra e il compasso non si assopì. Malvista da destra e da sinistra, condannata dalla Chiesa cattolica, nel 1981 fu coinvolta nel caso P2, storia tutta italiana di una loggia deviata che offrì l’occasione per ostracizzare tutta la massoneria che niente aveva da spartire con Licio Gelli. Passarono quasi dieci anni e l’inchiesta del Procuratore della Repubblica di Palmi, Agostino Cordova, la gettò di nuovo sui carboni ardenti. Questo caso giudiziario si chiuse nel 2000 quando il tribunale di Roma accolse la richiesta di archiviazione, ma ciò non servì ad allontanare sospetti e timori che negli ultimi vent’anni portarono di nuovo l’antica istituzione sul banco degli imputati, negandole spesso l’opportunità di difendersi.
(*) Scrittore e docente, Gran Maestro dell'Ordine Massonico Tradizionale Italiano, già Gran Maestro della Gran Loggia d'Italia degli Antichi ed Accettati Muratori
Aggiornato il 07 giugno 2019 alle ore 16:41