Le regole della “nuova” democrazia

Un aforisma, un commento“Una vecchia battuta dice ‘quando parli, assicurati di connettere la bocca al cervello’. Già, purché uno non lo scambi con qualche altro organo”.

Tutto è iniziato con quella che è stata definita, alla fine del secolo scorso, la “spettacolarizzazione” della politica. I cosiddetti talk-show prima maniera si muovevano sulla base di una correttezza linguistica ereditata dalla televisione degli anni precedenti. Tuttavia, a differenza della famosa trasmissione Il convegno dei cinque, che i meno giovani ricorderanno, nella quale la compitezza era d’obbligo, i talk-show hanno ben presto preso la direzione della trasgressione linguistica, del litigio, dell’attacco personale o addirittura degli insulti, ossia di un miscuglio di ingredienti capaci di trattenere il grande pubblico, di far parlare e, in definitiva, di incrementare gli ascolti.

La situazione si è ulteriormente aggravata con l’avvento di Internet e dei così chiamati social media che hanno consentito a milioni di persone di intervenire, pensando di venire letti, sui più disparati argomenti e, in particolare, sulle cose sentite dire da questo o da quello in un talk show. Lo spettacolo si è così gradatamente arricchito, si fa per dire, di eleganti modi espressivi in cui la volgarità, prima trattenuta e riservata a colloqui di ordine goliardico, ha prevalso non solo sulla buona educazione ma sullo stesso pudore e sul rispetto non solo per gli altri ma per se stessi.

Il processo è poi stato completato dall’originale e stupenda invenzione del “vaffa” , pronunciato in piazza e subito dopo iniettato a grandi dosi nei circuiti telematici come si trattasse di un profondo e innovativo messaggio ideale. Che le leggi dell’imitazione, intuite dal sociologo Gabriel Tarde nel secolo XIX, valgano anche per il fenomeno di cui stiamo parlando è fuori dubbio: le volgarità pronunciate con sussiego e durezza si sono diffuse a tal punto che molti non vi fanno nemmeno più attenzione, come facessero parte di un argomentario normale e legittimo, e sono state adottate persino da vari giornalisti e uomini politici, o sedicenti tali.

Dopo il “vaffa”, espressioni come “supercazzola”, “chi se ne frega”, “rompicoglioni” ed altre ancora più spregevoli fanno ormai parte del lessico standard dei social media e non raramente di talk-show in cui i conduttori tollerano la volgarità con una benevolenza degna di miglior causa.

In questo quadro, fatto di parole e parolacce e testi aggressivi battuti sulla tastiera del computer, la brutalità umana, sempre in agguato, è cresciuta a dismisura ma, raggiunto un certo livello, ha dovuto constatare la propria relativa irrilevanza, nel senso che la realtà delle cose, politiche ed economiche, vola per conto suo e la sua dinamica non è sensibile alla volgarità né all’ignoranza: la crisi, i debiti da pagare, le imposte, l’occupazione, la recessione avvengono e basta, con spietata concretezza. La concretezza è esattamente ciò che manca a chi fa uso anche del più violento turpiloquio, poiché con le parole non si va lontano e la gratificazione che viene fornita dalla possibilità di insultare a piacimento finisce per risultare insufficiente e senza riscontro. Internet è silenziosa, mentre la realtà è fragorosa, concreta, tangibile e dura. Ecco allora l’avvento dell’azione di piazza, complemento e realizzazione della parola. Insomma, dalle parole ai fatti. Sicché per qualsiasi ragione, giusta o meno giusta, si organizza una manifestazione rumorosa, fisicamente concreta, non raramente accompagnata dalla distruzione delle cose e colorata per poter essere facilmente riconoscibile e distinguibile da altre, con tanto di convocazioni grazie al passaparola sui social media nonché con la certezza della spettacolarizzazione garantita dai talk-show che inevitabilmente se ne occuperanno.

Sintomi di una rivoluzione incipiente? No, si tratta solo di un marasma crescente causato dalla gretta e diffusa convinzione che poche parole, magari urlate e grossolane ma che presentano con estrema semplicità cause e d effetti, colpevoli e vittime di ciò che non va, siano sufficienti a disegnare l’azione politica. Un problema molto serio per le democrazie contemporanee che sopravvivono solo se tutti rispettano le regole. Prima di tutto quelle del buon gusto.

Aggiornato il 15 febbraio 2019 alle ore 19:23