“Non fatelo morire in carcere”. “L’Opinione delle libertà”, con l’articolo di chi scrive, lancia una campagna a favore del professor Armando Verdiglione. È possibile sottoscrivere l'appello sia su Change.org che su Facebook.
Il filosofo ed editore che rischia di morire in galera dopo una lunga ed estenuante battaglia condotta dal sistema giudiziario italiano contro di lui fin dalla prima metà degli anni Ottanta dello scorso secolo. Una battaglia invero degna di miglior causa, visto che poi alla fine le accuse contro l’allievo prediletto del filosofo e psicanalista Jacques Lacan non hanno mai travalicato la circonvenzione d’incapace o l’evasione fiscale. Piuttosto che la truffa allo Stato e la bancarotta, peraltro indotta dalle tante inchieste che hanno fatto fallire tutte le sue attività culturali.
Reati buoni per chi, come alcuni partiti dell’attuale governo (i grillini) si dichiarano assetati di manette e di giustizialismo da Termidoro. Ma tant’è. Il filosofo che deve alla propria genialità, e all’invidia sociale da essa generata, gran parte delle accuse che lo stanno portando alla tomba, dal 5 settembre si è costituito in carcere a Opera, in provincia di Milano, per scontare un residuo di pena di 5 anni e otto mesi. Era il risultato di condanne vecchie e nuove al netto dei periodi già scontati in carcere nel 1986 e negli anni Novanta. Accuse in realtà assai discutibili – e in certi casi risibili come la circonvenzione di incapace – ma che in un Paese che vive di burocrazia giudiziaria come l’Italia sono bastate a produrre condanne definitive.
Ora, lo stesso filosofo, per il quale firmarono negli anni Ottanta le migliori menti della intellighenzija europea (da Alberto Moravia a intellettuali stranieri come Eugène Ionesco, Emmanuel Lévinas, Fernando Arrabal, Vladimir Bukovskij, Bernard-Henri Lévy, Marek Halter) e per il quale si mossero anche i Radicali di Marco Pannella, da tempo aveva rinunciato a lottare contro i mulini vento della giustizia all’italiana. Rassegnandosi a scontare pene da lui, e da molti altri, ritenute ingiuste se non assurde, pur di chiudere i conti con il sistema che gli aveva rovinato la seconda parte della sua brillante esistenza. A 74 anni suonati si era illuso di potere almeno scontare ai domiciliari il residuo pena. E invero, nell’ultimo processo per evasione fiscale e truffa allo Stato (e per avere determinato ingiuste sofferenze bancarie per 18,3 milioni di euro a Intesa e 24 milioni di euro niente meno che a Banca Etruria), persino la pubblica accusa durante il processo in Cassazione si era convinta della sua innocenza e ne aveva chiesto l’annullamento delle precedenti condanne. Niente da fare. Condanna confermata e soprattutto “in galera”. I pm e il magistrato di sorveglianza non hanno ritenuto di applicare “in automatico” il beneficio dei domiciliari ma hanno insistito per la sua costituzione e per un’istanza in tal senso che partisse da dentro il carcere. Come vuole il pensiero unico corrente secondo cui la certezza del diritto e quella della pena si dovrebbero identificare con la certezza della carcerazione. Anche per un anziano gentiluomo intellettuale di 74 anni.
Ancora una volta Verdiglione ha scelto la linea del attenersi alle regole, pur forcaiole, dello stato di diritto all’italiana. Si è costituito lo scorso 5 settembre a Opera. Solo che non aveva fatto i conti con il proprio fisico e con la propria mente, debilitati entrambi da questo quarto di secolo passato a difendersi da accuse da lui ritenute intimamente ingiuste. Risultato: nel centro clinico di Opera in cui è attualmente ricoverato non riesce a mangiare dallo scorso 5 settembre. Tutto ciò che ingerisce lo rigetta immediatamente. È apparso debilitato ai limiti della sopravvivenza al medico che lo ha visitato come perito di parte lo scorso 20 settembre. Ha perso diciotto chili in pochi giorni, da 84 chili, peso con cui era entrato in carcere, ai 66 attuali. Non riesce nemmeno a leggere per più di dieci minuti, lui che ai bei tempi divorava quattro libri al giorno.
Nell’ottica del “chi ha dato ha dato e chi ha avuto ha avuto” - che può riguardare il fatto che Verdiglione sia stato obbligato a piegarsi alle sentenze di un Paese che lo ha trattato come lo ha trattato determinando con le proprie inchieste anche il fallimento di tutte le sue attività culturali ed editoriali non di secondo piano, ad esempio la casa editrice “Spirali” - adesso cosa vogliamo fare con il filosofo Armando Verdiglione detenuto nel centro clinico di Opera? Lo vogliamo far morire così per fare contenti gli “united grillins of Italy”? Oppure vogliamo concedergli una vecchiaia relativamente serena nella prigione domiciliare di casa sua? È così socialmente pericoloso quello che con sprezzo del ridicolo alcuni inquirenti hanno definito un “guru”? Come se questa parola fosse un insulto?
Aggiornato il 28 settembre 2018 alle ore 13:08