Diffamazione: dopo 4 anni niente riforma

Diffamazione a mezzo stampa: dopo 4 anni di andirivieni tra Camera e Senato la riforma è ancora in alto mare. C’è, anzi, un pericolo: che prevalgano gli atteggiamenti negativi nei confronti di articoli e notizie non graditi. Un emendamento al disegno di legge dell’ex ministro dimissionario Enrico Costa presentato da Rosanna Filippin del Pd, d’intesa con altri parlamentari di vari gruppi, ripropone una specie di “censura digitale” nel senso di stabilire per legge che entro 5 giorni, su semplice richiesta di chi si sente diffamato, il Garante della privacy faccia cancellare la nota da Internet. Il problema ripropone una questione di fondo: il rapporto tra la libertà di stampa e di espressione e la garanzia della dignità personale e quindi il rispetto della privacy.

Dopo anni di dibattiti, conferenze e confronti, la stampa torna nel mirino con la scusa delle misure di sicurezza, con l’obiettivo di rispettare la sfera privata delle persone. L’informazione è spesso bersagliata e i cronisti sono sempre scomodi come dimostrano i casi del contrasto tra il Presidente degli Usa Donald Trump e i media statunitensi, o le misure restrittive del presidente della Turchia Recep Tayyip Erdoğan.

In Italia gli attacchi non sono meno frequenti e violenti al fine di intimidire quanti effettuano inchieste scomode o rivelano scandali, coperture affaristiche e azioni criminose di stampo mafioso. L’informazione ha come obiettivo di rendere note alla pubblica opinione tutte le verità, piacciano o non piacciano. Quando non ci sono minacce, perquisizioni in redazione o nelle rispettive abitazioni, si avverte un generale fastidio contro la libera stampa e il dissenso. Quando si affrontano temi relativi alla libertà d’informazione, osserva il presidente della Fnsi Beppe Giulietti, mitico sindacalista dei giornalisti di sinistra, ex deputato del Pd e fondatore di “Articolo 1”, meno norme si fanno e meglio è.

Alcune soluzioni ci sarebbero. Occorrerebbe dare seguito ad alcune indicazioni della Corte di giustizia europea. Più volte è stato chiesto all’Italia di togliere dalle norme di legge l’arresto dei giornalisti per i reati di diffamazione. In secondo luogo, inserire un semplice indirizzo “fatti salvi la rilevanza sociale e l’interesse pubblico”.

Si dovrebbe poi introdurre la fattispecie di “querela temeraria”. Già in una sentenza del Tribunale di Reggio Calabria si definisce tale quando una persona o più spesso una società o gruppo chiede un risarcimento palesemente sproporzionato rispetto al danno con l’intento intimidatorio. Richieste di risarcimenti per milioni sono frequenti e una causa per diffamazione si trascina per anni. Diventa una spada di Damocle sul percorso del giornalista. Dai dati dell’osservatorio “Ossigeno per l’informazione” risulta che il 90 per cento delle cause viene archiviato. Nel disegno di legge in discussione in Parlamento viene previsto che “il giudice può condannare il querelante a un’ammenda da mille a 10mila euro”. Cifra che non spaventa chi può vantare un collegio di avvocati come i grandi gruppi economici e finanziari.

È rimasta inascoltata, invece, la richiesta avanzata dalla Fnsi e da esperti della materia di fare in modo che il querelante prima di presentare la denuncia pensasse bene a cosa andrà incontro; e cioè una volta archiviata il querelante temerario dovrebbe versare una percentuale di quanto richiesto. Ci sono casi in cui la soluzione arriva anche dopo 6 anni, altri in cui la pressione dei potenti induce a far rimuovere l’articolo sgradito. Il giornalista innocente vive spesso per anni nell’angoscia. Qualche giornalista ha osservato che essere querelato e dover subire un processo per diffamazione aggravata, basato sul nulla, spinge a far crollare convinzioni e certezze di raccontare i fatti. C’è poi il pericolo che a pagare siano i più deboli, le piccole aziende editoriali, i web e blogger meno attrezzati. Intimidazioni e minacce si sono moltiplicate in questi ultimi tempi anche per il dilagare delle cosiddette “fake news”. Non c’è dubbio che le informazioni false e lesive vadano punite, ma senza mettere a rischio la libertà d’informazione. La funzione giurisdizionale (condannare o rimuovere i contenuti ritenuti lesivi) spetta al giudice e non all’Autorità di garanzia, di nomina politica.

Ancora una volta il provvedimento in discussione è insufficiente e appare improntato a proteggere i poteri forti della politica e della finanza. Anche la polemica calcistica televisiva portata in Tribunale. Il direttore di Tgcom 24 Paolo Liguori è stato rinviato a giudizio e sarà processato il 14 maggio 2018 per diffamazione nei confronti dell’ex arbitro e designatore della Fifa Nicola Rizzoli. Non è stata sufficiente l’udienza preliminare per stabilire se la frase pronunciata da Liguori alla vigilia della partita Juventus-Napoli (“a Torino è matematico un errore arbitrale a favore della Juventus”) sia diffamatoria oppure una convinzione dialettica del giornalista secondo cui “il bianconero è forte, statemi a sentire”.

Aggiornato il 02 agosto 2017 alle ore 12:58