Scuola: sviluppare il pensiero critico

Gli esami di Stato sono rimasti ancorati alla vecchia Maturità di un tempo. Quest’anno mi è sembrato di assistere, osservando le prove orali da tutta un’altra angolazione e in diverse scuole, alle stesse dinamiche che ho dovuto affrontare io stesso all’esame orale nel 1991, con i miei compagni di classe del III B. Identico approccio di allora. Infatti, le commissioni esaminatrici rischiano di assomigliare - nel metodo - un po' troppo a quelle di oltre 25 anni fa: medesime domande dei commissari esterni, identica impostazione e la solita, vecchia ricerca del nozionismo.

A parte la conformazione del gruppo dei commissari, qualche slide realizzata con il power point, qualche video mostrato, qualche musica fatta ascoltare durante l’esame orale per introdurre un argomento, quasi tutto sembra rimasto fermo al 1991. In altre parole, sono cambiati gli strumenti, a volte, non le modalità o gli approcci, che permangono spesso identici.

Eppure, i tempi sono cambiati. Allora, mi chiedo: ma come si fa a restare fermi? Come è possibile? Dov’è carente la preparazione dei nostri studenti? Che cosa verifichiamo con gli esami? Storia: parlami della crisi del ’29. Italiano: mi descriva la poetica del fanciullino in Pascoli. Poi, la mitica frase che si usava trent’anni fa: vediamo il programma... Avete fatto il Futurismo? Ecco: mi spieghi che cos’è l’avvertimento del contrario in Luigi Pirandello. Tutto così, frammentato, disarticolato, frantumato in mille pezzi sul piano di una cattedra già impolverata di suo. Ho visto cose che voi umani non potete neanche immaginare: domande slegate tra loro, argomenti che i ragazzi ripetono in modo mnemonico o che dimenticheranno appena usciti dall’aula perché non sentiti, non vissuti, non compresi. Domande poste senza un’armonia logica e di ragionamento, poco o niente che restituisca senso a quanto si va dicendo durante l’orale, nozionismo.

Partiamo dal principio che ogni insegnante ha il diritto, sancito dalla nostra Carta costituzionale, di sviluppare il metodo didattico che preferisce e, quindi, può e deve utilizzare le strategie che meglio ritiene utili per favorire l’apprendimento degli studenti. Una ricetta universale, valida per tutti e adattabile a tutti, non esiste. Per fortuna! Sarebbe un assolutismo. Non esiste innanzitutto perché ogni docente è diverso dall’altro, ha qualità diverse ed è giusto, perciò, che orienti il proprio lavoro assecondando le peculiarità che gli sono proprie, al di là della materia di riferimento. Poi, non può esistere uno schema fisso nell’apprendimento perché ogni singola classe ha una propria specifica peculiarità e, inoltre, perché ogni allievo è unico e necessita anche di strategie mirate. Insomma, non ci resta che discuterne.

Quindi, come professori, potremmo sviluppare un percorso di ricerca che ci spinga a porci delle domande e ci stimoli con degli interrogativi a voltare pagina e liberarci così dal logoramento. Poi, ciascun docente, relazionandosi con gli altri colleghi seppur in modo autonomo, troverà una propria personale risposta e, anzi, se saremo stati bravi nelle domande, troveremo più risposte allo stesso interrogativo perché le questioni cambiano al cambiare del contesto, della realtà mutevole, della complessità in cui noi insegnanti ci ritroviamo ogni giorno ad operare.

Agli esami di Stato, ad esempio, più che soffermarsi sul nozionismo del solo sapere, che fa riferimento a una scuola ormai superata dai tempi, non sarebbe forse meglio stimolare il candidato ad esprimere le proprie capacità di analisi e di sintesi, invitarlo alla discussione ragionata, verificare se sa compiere collegamenti o confronti sui temi stessi illustrati durante l’esposizione della mappa concettuale? Non sarebbe più bello se i ragazzi fossero invitati a sviluppare un loro pensiero, anche critico, motivando e argomentando quanto elaborato personalmente intorno al sapere acquisito a scuola?

Ovviamente, affinché i ragazzi possano affrontare l'esame in modo diverso, è necessario il corrispettivo lavoro didattico durante i cinque anni d'istruzione superiore. È una mentalità che va cambiata, da parte di tutti. In tal senso, la scuola andrebbe vista come terreno fertile attraverso cui, in prospettiva, sconfiggere le ingiustizie sociali, riconoscere le diverse qualità di ciascun allievo, comprendere l’altro e l’unicità di ogni studente, premiare i meritevoli, aiutare a compiere il cammino formativo anche a chi è in difficoltà, ri-orientare chi ha bisogno di essere meglio seguito e indirizzato. Le basi che si pongono a scuola servono anche ad abbattere i privilegi e le disuguaglianze, ricomporre il tessuto civile e civico, restituire fiducia nel prossimo, accrescere la coscienza democratica, formare le varie e diverse intelligenze all’autonomia di pensiero e alla libertà, cioè al rispetto degli altri e delle regole, alla responsabilità e alla solidarietà, al dubbio e alla curiosità. La scuola dovrebbe scovare e far emergere i talenti di ciascun ragazzo, restituire autorevolezza ai docenti, favorire la creatività dei singoli e le relazioni umane, rivoluzionare il metodo di apprendimento, ricucire l’unità tra il mondo scientifico e il mondo umanistico come espressioni della stessa universalità che interagisce e si completa all’interno di una dinamica virtuosa. Infine, ma non per ultimo: armonizzare l’inserimento, l’integrazione e l’inclusione dei ragazzi

Aggiornato il 25 luglio 2017 alle ore 22:22