
Se dopo ottant’anni il 25 aprile continua a non essere riconosciuto da larga parte degli italiani come festa dell’intera comunità nazionale, forse è arrivato il momento di lanciare un’operazione verità, in luogo di polemiche ormai stucchevoli, per comprendere le ragioni che sostengono una così diffusa indifferenza. In tal senso, illuminanti sono le parole dello storico Rosario Romeo quando scrive che “fin dai primi mesi del Dopoguerra la storia realmente accaduta è stata sostituita da una storia alternativa”. Ma con la falsificazione dei fatti, seppure con l’intenso lavoro di volenterosi addetti alle vulgate, è assai difficile che si possano costruire memorie e paradigmi fondativi di un Paese. Purtroppo, è precisamente ciò che è accaduto in Italia negli ultimi ottant’anni.
Tutto iniziò con una forzatura su quanto accadde tra il 1943 e il 1945, quando la Resistenza venne presentata sotto forma di mito e accreditata quale fattore decisivo per la riconquista della libertà. Come sanno coloro che rifuggono dalle verità su base ideologica, l’Italia venne liberata dal nazifascismo per mezzo dell’intervento delle Armate anglo-americane, così come la nascita della democrazia non si può non metterla in relazione con il progetto di “imperialismo democratico” fortemente voluto da Franklin Delano Roosevelt ed elaborato mentre la guerra era ancora in corso. Roberto Chiarini in “25 aprile, la competizione politica sulla memoria” osserva che in Italia “non c’è alle spalle un solo passaggio storico di rilievo su cui si sia consolidata una valutazione condivisa. Abbiamo memorie separate su tutto: sul Risorgimento e sul fascismo, sull’epoca liberale e sull’età repubblicana, sulle guerre combattute e sulla politica estera. Figuriamoci sulla Seconda guerra mondiale che di tutta la nostra storia è stato il passaggio forse più carico di lacerazioni e propositi radicalmente alternativi”.
Una divisività di lunga durata che si trasforma in vero e proprio fossato a partire dai primi anni della Repubblica attraverso una narrazione, ad opera del Partito comunista, della Resistenza intesa non solo (come abbiamo detto) quale fattore determinante per la riconquista della libertà, ma come fenomeno di massa (mentre è storicamente accertato che la partecipazione riguardò una minoranza degli italiani) i cui protagonisti attivi vengono ricondotti quasi esclusivamente ai militanti comunisti (occultando, in tal modo, il ruolo svolto dai partigiani cattolici, liberali, socialisti, azionisti, nonché dei militari che non vollero aderire alla Repubblica di Salò).
A tal proposito, la vicenda di Alfredo Pizzoni assume un carattere emblematico. Egli fu presidente del Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia dalla sua costituzione fine alla fine della guerra. Ricoprì incarichi delicatissimi in particolar modo sul terreno dei finanziamenti della Resistenza. A guerra conclusa la figura di Pizzoni fu volutamente dimenticata. Egli aveva una sola colpa: non era comunista, ma un partigiano di formazione liberale. Se questi sono i fatti non deve meravigliare se buona parte degli italiani ancora oggi vive con freddezza la data del 25 aprile.
Aggiornato il 22 aprile 2025 alle ore 11:39