
In questi giorni concitatissimi che questo pianeta davvero non necessitava di vivere, rimane difficile, non occuparsi del presidente degli Stati Uniti.
La rassegna stampa che si può liberamente consultare un po’ ovunque, i fiumi di parole più o meno giuste, precise e pertinenti, che costruiscono la narrazione dominante delle ultime settimane del presidente ‒ e del suo entourage ‒ è formata di immagini che, a parere di chi scrive a volte sono più eloquenti di pensieri più o meno profondi espressi in forma scritta o orale, e dinanzi ad essi, una domanda sorge spontanea: dov’è Melania?
Il presidente viene ritratto in foto o in video o da solo, o con i componenti di quello che la stampa nostrana ha etichettato “cerchio magico”. Sono lontani i tempi in cui, mano nella mano, lui e Melania, affrontavano gli impegni ufficiali insieme, ricevevano gli altri “potenti” in visita alla Casa Bianca, svolgevano quindi la loro funzione come una coppia presidenziale.
Non l’abbiamo mai vista accogliere la Meloni, non l’abbiamo vista ricevere il presidente ucraino, né pare essere comparsa nemmeno al torneo di golf a cui ha partecipato di recente il presidente mentre discettava di dazi con i suoi consiglieri. Solo un paio di presenze pubbliche, a febbraio. Il gossip corre veloce, e la narrazione pubblica cerca di essere al passo con i tempi.
È un caso quindi che la moglie del presidente non ci sia mai, e quindi non sia presente neanche nelle foto, o la sua assenza è dovuta al fatto che il secondo mandato presidenziale sarà molto diverso dal primo?
Può sembrare una questione di mero gossip. Del resto, cosa può contare la presenza o meno della First Lady nelle foto o nella vita del presidente in quel momento della sua vita in cui ha deciso di ingaggiare una guerra commerciale planetaria che non esclude neanche isole ricoperte per oltre l’80 per cento della superficie da ghiacci ed abitate da soli pinguini?
Invece se si guarda alla comunicazione, qualche riflessione sugli effetti che questa può produrre nei destinatari della narrazione la possiamo fare. Cosa ci dicono le recenti immagini di Trump veicolate dai media? O è da solo, o è con i suoi collaboratori, che sono presenti fin quando sono protagonisti della questione di cui si tratta, per poi sparire, come attori che si avvicendano su un palcoscenico teatrale. Quando si parla di Doge, i protagonisti sono solo Trump e Musk, quando si parla di dazi, Musk scompare ed ecco appaiono altri protagonisti.
Ma la grande assente è lei, la First Lady. In un Paese in cui il ruolo delle First Lady è ben fissato nell’immaginario collettivo, e non c’è settimana senza che non si legga ancora di una dichiarazione di Michelle Obama, una intervista alla Clinton, o una foto della insuperabile Jacqueline Kennedy, sembra quasi irreale che nessuno si chieda perché Melania non c’è. Davvero i comunicatori della Casa Bianca potranno a lungo obliare sulla sua assenza pubblica senza dover spiegare nulla?
Qual è l’immagine che si sta producendo, e che andrà mantenuta per tutto il mandato a meno di colpi di scena eclatanti? La First Lady non vuole apparire o non c’è perché la narrazione se fosse affiancata dalla famiglia risulterebbe diversa da quella che si vuole dare? Non possiamo ipotizzare molto, tranne che dire, che l’assenza è ben visibile ed un significato, comunicativamente parlando, ce l’ha. Perché parla evidentemente dei rapporti del presidente con la moglie e la famiglia, ben sapendo Trump che non si può non comunicare.
E a questo punto lo spunto di riflessione di carattere liberale emerge lampante. In un’epoca in cui ci fanno credere di essere liberi di poter sapere tutto di tutti, di essere informati di tutto e su tutto; invece, siamo liberamente schiavi di una informazione che di libero, nei nostri confronti di lettori, di cittadini, a volte ha molto poco. Per capire appieno quanto meno cosa accada, anche senza avere la velleità di capire il perché, bisogna munirsi di grande dose di senso critico e guardare oltre quello che ci propinano, per provare a farsi le domande giuste che ci liberano quanto meno dal condizionamento dell’opinione sulle cose che accadono in giro per il mondo.
Se ci viene proposta una narrazione, che è libero diritto di cronaca espressa da chi la fa, noi abbiamo il nostro diritto di vivere la nostra libertà dalla narrazione comune, e non accontentarci.
Le neuroscienze applicate alla linguistica ci dicono che, quando affermiamo qualcosa, implicitamente evochiamo anche il suo opposto. Ma se la prima parte dell’affermazione è più o meno chiara a tutti, in forma inequivocabile, la seconda parte meno.
Quindi se si vuole creare una narrazione funzionale alla creazione di una immagine che si vuole dare in pasto al mondo, basta tenere viva la prima parte che afferma qualcosa, senza tener conto dell’implicito non detto, che fa scegliere a noi il significato della seconda parte.
Tornando alla First Lady, di recente non presente, come le foto ci mostrano, si potrebbe quindi ipotizzare che lo svolgimento del ruolo presidenziale sarebbe diverso se lei ci fosse, o non c’è perché non è funzionale alla narrazione del presidente che tratta male gli ospiti presidenziali (Vance con i suoi calzini improbabili è decisamente diverso da Melania in Louboutin tacco 12 anche sulla neve), o che decide di guerreggiare commercialmente urbi et orbi?
Cosa stiamo “subendo” come comunicazione dagli Usa, e di che tipo di informazione ci stanno privando, dato che ci offrono solo un certo tipo di immagine del presidente Usa?
È del tutto evidente che questa riflessione nasca, in verità, da un puro esercizio di senso estetico, la First Lady è molto più piacevole da vedere di tutti i Tycoons e potenti in giacca e cravatta o T-shirt (e spesso con pessimi calzini corti) al fianco o al cospetto del marito. Eppure, è un buon esempio di narrazione pubblica per dimostrare che quello che vediamo è solo quello che qualcuno, deliberatamente, decide di mettere in luce, mentre noi abbiamo diritto di vedere tutto, ombra compresa, anzi a volte l’ombra, è ancora più interessante della luce.
Non accontentiamoci mai solo di quello che appare senza porci una domanda, sul perché, senza approfondire cosa ci può essere oltre, o in più o in meno, che è dato da quello che non ci viene raccontato che a volte è più interessante della narrazione che ci viene proposta.
Una buona informazione è quella che rispetta la nostra libertà dalla disinformazione o dalla pessima informazione, ed evita di imporci una narrazione preconfezionata, necessaria ad uno storytelling che, se fatto superficialmente, dimentica la fondamentale regola che dire qualcosa, implicitamente afferma anche il suo opposto.
Cercare l’opposto, il nascosto, il non pensare solo all’elefante, ci aiuterà a esercitare la nostra libertà nei riguardi di una comunicazione di massa che non sempre ci lascia liberi di pensare.
(*) Leggi il Taccuino liberale #1, #2, #3, #4, #5, #6, #7, #8, #9, #10, #11, #12, #13, #14, #15, #16, #17, #18, #19, #20, #21, #22, #23, #24, #25, #26, #27, #28, #29, #30, #31, #32, #33, #34
Aggiornato il 11 aprile 2025 alle ore 12:25