Motosega e deregulation: con troppe norme la legge ammette ignoranza

Delle tante scelte epocali fatte da Javier Milei in Argentina, ce n’è una di cui si parla tanto, ma senza spesso attribuirgli la sua portata universale. Tante delle misure del piano di “ajuste” del presidente argentino si muovono su uno sfondo ideologico − che non è detto che sia un male − e sono tarate sulla situazione tragica del suo paese. Su un aspetto però, la rivoluzione mielina dovrebbe incontrare il favore di ogni policymaker, di ogni ideologo a prescindere dallo schieramento politico: la battaglia a favore della deregolamentazione. Una battaglia che non significa necessariamente avere meno regole in senso assoluto, significa avere meno scartoffie, meno burocrazia, meno distanza tra l’apparato normativo e il cittadino e, specialmente, meno vincoli alla libertà economica. Milei ha dato a questa lotta un tratto caratterizzante del suo governo. Basti pensare che, nonostante la furia dell’“afuera” ai ministeri, il fondatore de La Libertad Avanza ci ha tenuto a crearne uno apposito per gestire il processo di deregolamentazione. Nel farlo, ci ha messo a capo Federico Sturzenegger, non uno a caso.

Sturzenegger, in barba alla propaganda che descriverebbe il governo di Buenos Aires come una banda di improvvisati, è un uomo con esperienza pluridecennale in finanza, economia e politica. PhD del MIT ed ex presidente della banca centrale argentina, pare che sia stato il punto di riferimento consultato da Elon Musk per far partire il piano Doge negli Stati Uniti.

Sulla sovrapponibilità del programma argentino e del dipartimento americano c’è da nutrire qualche dubbio. Il boss di Tesla e SpaceX è a capo di un ufficio governativo, che ha poteri ridotti e la facoltà di redigere perlopiù raccomandazioni, oltre a sembrare più un regolamento di conti con le precedenti amministrazioni che altro. Sturzenegger ha, invece, a disposizione un intero coordinamento ministeriale e il conseguente potere. Difatti, ha già cancellato 300 regolamenti del mercato del lavoro e degli affitti, mentre ha già pianificato un intervento complessivo per abbattere la sua chainsaw su 4200 leggi in totale. La domanda che sorge è, dunque, che sia possibile realizzare un piano di snellimento e semplificazione normativa dappertutto?

Il caso italiano sembra remare in direzione opposta, indifferentemente dal colore politico. Giorgia Meloni invita Milei in pompa magna ad ogni occasione, ma ci tiene sempre a precisare che la sua ricetta funziona in circostanze molto particolari come quelle argentine. Il risultato è che in Italia una legge in più è sempre meglio che una in meno. D’altronde, come si potrebbe riuscire ad accontentare tutti? Dando a ciascuno qualcosa: titoli di giornale, associazioni di categoria, lobby e gruppi di interesse, movimenti sociali e, perché no, anche l’utente medio dei social. Quel qualcosa è solitamente una legge ad-hoc. Ed è così che, mentre Milei, tra le polemiche, abolisce quell’obbrobrio giuridico che è il reato di femminicidio, il governo italiano lo introduce con una proposta tailor made sulle richieste di Gino Cecchettin. Ed è proprio il diritto penale l’ambito in cui questo fenomeno è più sviluppato. Il governo Meloni ha introdotto 48 nuovi reati e aumenti di pena per un totale di 417 anni. Il centrodestra, in realtà, non fa altro che assecondare un trend di lunghissima memoria nella prassi legislativa italiana. Tra i giuristi si parla ormai senza remore di inflazione normativa, un problema annoso parimenti a quella economica. Non casualmente, il metodo motosega è applicabile ad entrambe.

Già nel 1988, la Corte costituzionale, con la sentenza n.364, aveva scritto una decisione estremamente evocativa. Di fatto, veniva introdotto un certo grado di scusabilità al principio dell’ignorantia legis. Ovvero, una legislazione alluvionale − così la definisce il giurista Luigi Ferrajoli, l’opposto di un mileiano di ferro − rende possibile appellarsi alla non conoscenza della legge per giustificare una sua non applicazione. La portata di una dichiarazione del genere da parte di un organo costituzionale sembrerebbe notevole, e invece si contano ancora 35.000 figure di reato nel nostro ordinamento, con un aumento del 70 per cento negli ultimi 25 anni. E siamo solo in ambito penale.

Una proposta, che viene fuori proprio da quell’ambiente, potrebbe aiutare, se non ad apportare uno snellimento del sistema, quantomeno una sua semplificazione. Si tratterebbe dell’introduzione di una riserva di codice, che radunerebbe la già esistente legislazione speciale esclusivamente negli altrettanto esistenti codici e consentirebbe di introdurre nuove leggi solo modificando i codici stessi. Lo scopo di applicazione di questa proposta raggiungerebbe tutti gli ambiti, dal civile al commerciale, passando per l’amministrativo e il lavoro. Ovviamente, non si tratterebbe di una soluzione definitivamente risolutiva, ma avrebbe l’effetto di evitare la dispersione in circolari, regolamenti e riferimenti di rimando a norme di secoli fa, che attualmente caratterizza il nostro ordinamento. L’effetto indiretto che ciò potrebbe ottenere sarebbe di avere dei codici letteralmente abnormi e zeppi di normative. Che possa essere una provocazione per rendersi conto della necessità di un colpo di motosega alla regolamentazione italiana? Per non parlare di ciò che avviene a livello europeo…

Aggiornato il 17 marzo 2025 alle ore 10:48