Europa sfusa: zero “Mega”

Chissà per quanto tempo ancora non sarà possibile per questo Continente stanco, invecchiato e iperegolato, e per noi europei “belladdormentati” opporre (o, meglio, unire) il nostro bel “Mega”, Make Europe Great Again, al “Maga” (Make America Great Again) trumpiano. Sapevamo bene da tempo della sfida economica di Maga al resto del mondo, Cina in testa, per cui gli interessi dell’America avrebbero prevalso su tutto il resto (alleanze internazionali comprese), in base al motto ipersovranista di America First. C’è da dire che, in questi ultimi anni post-pandemia, Joe Biden ha giocato al Trump-democrat, profondendo trilioni di dollari di aiuti pubblici per sostenere l’industria americana, anche al fine di favorire sia la riconversione green, sia la relocation degli insediamenti produttivi dell’apparato industriale Usa, migrati all’estero con le delocalizzazioni. Ebbene, avete sentito la Commissione europea fare un solo plissé, tranne esprimere qualche vuota lamentatio, per opporsi seriamente alla politica iperprotezionista del duo Biden-Kamala Harris? No, infatti: l’Ue non ha fatto praticamente una piega, quando l’amministrazione Usa ha messo in atto una politica industriale sussidiata da far invidia alla stessa Cina, che pure vanta vari record mondiali in materia, per dumping e sussidi trilionari alla sua industria manifatturiera e al comparto edile cinese in pieno default.

Certo, oggi è pur vero che l’Europa ha in partenza un doppio gap, rispetto agli Usa di Biden-Trump: il primo riguarda la mancanza di risorse finanziarie comuni; il secondo l’assenza di un’energia a buon mercato, oggi semplicemente inesistente, ora che il gas russo non è più disponibile. Difficile, pertanto, trovare una soluzione rimanendo divisi, dato che Trump non si convertirà in alcun modo al green, potenziando al contrario gli impianti nucleari esistenti, costruendone per di più di nuovi. Emmanuel Macron, il trickster Ue, lo imita offrendo la sua energia nucleare pulita e a buon prezzo all’energivora industria dell’Ia europea. L’aumento delle attuali capacità estrattive del fracking, condurrà poi l’America alla totale autosufficienza energetica anche nel campo delle energie fossili (petrolio e gas). A questo punto, ci si aspetterebbe che, come contromossa, Bruxelles passasse a una copiosa de-regulation, dato che al dinamismo di Cina e Usa l’Ue ha contrapposto da decenni il mining di carta superflua, come quella dei suoi regolamenti ipertrofici, che hanno drammaticamente depotenziato e rallentato il processo decisionale comune europeo e la competitività dell’Unione.

Gli unici a trovare, dal 1954, enormi benefici economici da questo immenso regolamentificio sono stati proprio speculatori edilizi e proprietari terrieri belgi, costruendo e ampliando nei decenni questa Fabbrica di San Pietro. A loro si sono uniti migliaia di burocrati da tutta Europa che hanno trovato alloggio, alti stipendi e megaredditi proprio all’interno della gigantesca cittadella amministrativa comunitaria, a discapito del contribuente europeo. Quando nomineremo anche noi un Elon Musk per tagliare drasticamente sedi, uffici, spese e personale inutile di questa enorme fabbrica di carte?

Del resto, nel suo rapporto che non fa sconti a nessuno, l’ex governatore della Bce, Mario Draghi, ha lanciato il suo bel grido di dolore denunciando i ritardi della Ue nell’innovazione, rispetto ai suoi diretti competitor di Usa e Cina. Il sistema industriale europeo, pertanto, è condannato a una “lenta agonia”, in mancanza dei necessari investimenti da finanziare attraverso il ricorso al debito comune, senza i quali nemmeno l’euro si salverà. Qualora le sorti del mondo proseguissero sulla strada finora intrapresa, a proposito di Brics e di Global South, c’è da aspettarsi che questo conglomerato, oggi eterogeneo e disorganizzato, possa prima o poi ricompattarsi, individuando a nostro discapito un metodo comune di pagamento alternativo al dollaro e all’euro. E allora per noi, non autosufficienti sulle materie prime, il contraccolpo potrebbe rivelarsi mortale, dato che i prezzi li faranno i nostri nemici giurati. Potrà il carnivoro Trump far aprire finalmente gli occhi agli erbivori europei affinché si convertano in onnivori, adottando le indispensabili politiche comuni in materia di finanza pubblica, politica energetica e strategia industriale?

Sarà molto difficile che accada una cosa simile, almeno per tutto il secondo mandato di Trump, dato che la somma delle due crisi dello storico “motoreeuropeo franco-tedesco non si esaurirà prima del 2028. E, paradossalmente, anche se nel 2027 dovesse spuntarla Marine Le Pen nella prossima corsa alle presidenziali francesi, il tutto sarà reso inservibile dal fatto che il fondatore di Maga non potrà correre per un terzo mandato (J.D. Vance lo farà per lui). Ma anche se dovesse spuntarla l’ondata nazional-sovranista di destra, al termine di questo secondo quinquennato di Ursula von der Layen, quali sono le grandi idee che potrebbero contraddistinguere una politica comune per il necessario rilancio dell’Unione? Nulla di rivoluzionario in vista, dato che, per definizione, nessun sovranista degno di questo nome è disposto a trasferire ben più pregnanti funzioni e competenze a Bruxelles (e meno che mai eleggere un “capodell’Europa), per poter fronteggiare la de-globalizzazione e la concorrenza tecnologica di giganti industriali come Cina e America, trattando alla pari con Vladimir Putin, Xi Jinping e Trump.

Probabilmente, non ci sarà modo dal punto di vista sistemico e generale di evitare il letterale tracollo della pax e dell’ordine mondiale a egemonia americana, visto lo stato comatoso pre-1991 in cui versa il Consiglio di sicurezza dell’Onu, paralizzato nelle sue decisioni esattamente come accadeva nel periodo della guerra fredda. Mentre, dall’altro, il Wto (World trade organization) è letteralmente moribondo, verificato come tale ben prima dell’insediamento a gennaio del Trump-II, unitamente alle grandi istituzioni bancarie della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale.

Trump, poi, peggiorando le cose da parte sua, sta scatenando (secondo la sua strategia transazionale) una vera/finta guerra dei dazi, in cui noi europei (e, soprattutto italiani, esportatori netti di prodotti e beni di lusso), potremmo entrare in una drammatica recessione collettiva, a causa delle barriere doganali Usa, molto penalizzanti per le nostre esportazioni. Lo scenario più verosimile, pertanto, è quello dell’accelerazione delle misure protezionistiche (soprattutto inter-occidentali!), che potrebbero comportare letteralmente la fine del modello del libero commercio sostenuto a spada tratta (e ideologicamente) da Bruxelles e dai progressisti europei. Paradossalmente, non esiste miglior momento storico per i Conservatori di ricompattarsi, per trovare un rimedio pratico e ideologico a questi nostri imminenti, terribili guai collettivi.

Aggiornato il 14 febbraio 2025 alle ore 11:20