Lo Stato di magistratura: cronaca di un ordine intoccabile

In Italia, ogni qualvolta si tenta di compiere delle riforme si scatena una resistenza inimmaginabile, soprattutto quando il tentativo riguarda uno status quo. Questo anche a causa di un’atavica cultura gattopardesca, radicata all’interno del tessuto politico e sociale dell’Italia e ben enucleata dal nobile scrittore siciliano Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel celeberrimo aforisma “Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi”, e ciò è proprio quello che stiamo assistendo in questi giorni durante l’inaugurazione dell’anno giudiziario 2025. Infatti, in ogni sede istituzionale assistiamo a un’invereconda reazione tanto più puerile quanto grottesca di alcuni magistrati che compongono un Ordine costituzionale, quale è quello della magistratura, semplicemente perché il Governo sta cercando di riformare la magistratura attuando la separazione delle carriere.

Le funzioni della magistratura penale si declinano in quella giudicante (i giudici) e in quella requirente (i pubblici ministeri) e di conseguenza i magistrati svolgono le loro diverse funzioni come componenti dello stesso Ordine. Pertanto, durante il processo penale la difesa si confronta con il pubblico ministero che appartiene allo stesso Ordine di chi esercita la funzione di giudicare e quindi dovrebbe svolgere il suo ruolo con l’obbligo di essere super partes. Quindi, rebus sic stantibus, emerge, in modo tautologico, il pericolo che possa sorgere un potenziale conflitto di interessi tra i due ruoli della magistratura, essendo entrambi svolti da magistrati che appartengono allo stesso Ordine. Inoltre, in una democrazia liberale, i poteri dell’ordine costituito sono divisi secondo il principio affermato dal Charles-Louis de Montesquieu, in base al quale i tre poteri fondamentali dello Stato (legislativo, esecutivo, giudiziario) vanno ripartiti tra organi diversi e separati (parlamento, governo, magistratura). Invero, sia il parlamento che la magistratura e il governo, sono degli organi costituzionali, le cui funzioni fondamentali e organizzazione, sono disciplinate direttamente dalla Costituzione.

I suddetti organi sono considerati in una posizione di reciproca parità, i quali prendono parte all’esercizio della cosiddetta funzione politica, in quanto partecipano in modo diretto alle finalità perseguite dallo Stato e stabilite nella Costituzione. Da quanto finora esposto, si evince un dato sconcertante, ossia il fatto che una parte significativa della magistratura italiana ha assunto un atteggiamento irrispettoso nei confronti degli altri organi costituzionalmente garantiti e che rappresentano direttamente la volontà popolare, come avviene per il Parlamento, ossia quell’organo che riflette direttamente le indicazioni del popolo con il proprio voto nelle elezioni politiche. Il problema nasce da lontano, ovvero dalle nefaste conseguenze di quel processo storico che costituì il fenomeno giudiziario denominato “Tangentopoli”, che senza alcuna accortezza disintegrò quasi tutta la classe politica di allora, insieme ai partiti di maggioranza che avevano governato l’Italia per quasi 50 anni, salvo il maggiore partito della sinistra italiana e che indusse la magistratura a travalicare i suoi labili limiti costituzionali, assurgendo alla funzione di lume morale e quindi invasivo, nella politica italiana.

Siccome in politica, come nella fisica, non possono esistere spazi vuoti, la magistratura si ritrovò a esercitare quei poteri costituzionali che probabilmente fino a quel momento non aveva mai esercitato compiutamente, a causa della “guerra fredda”. I suddetti poteri sono contraddistinti dalla mancanza di proporzionati contrappesi, almeno a confronto di quelli che costituzionalmente sono previsti per gli altri organi costituzionali e tutto ciò a causa di un retaggio storico derivato da una delle tante perniciose conseguenze che ha causato il Fascismo. Difatti, durante il Ventennio la magistratura fu ridotta a mero strumento politico del regime, privandola di qualsiasi autonomia e indipendenza, e scevra di ogni forma di garanzia propria di uno stato di diritto. Come reazione a questo scempio dittatoriale, i padri costituenti furono restii a legiferare dei veri e propri contrappesi nei confronti dell’indipendenza e dell’autonomia della magistratura, la quale, a conferma di quanto già affermato, esercita un controllo su se stessa sostanzialmente da sola, tramite il cosiddetto Consiglio superiore della magistratura (Csm).

Nonostante quanto riportato fino adesso, non può non destare delle serie preoccupazioni l’attuale condotta della maggioranza della magistratura, così ostativa a prescindere da tutto e da tutti, soprattutto in un momento storico in cui la giustizia versa in una condizione di un così estremo disagio. A tale riguardo, merita citare uno dei tanti impellenti problemi che mina il nostro stato di diritto, l’aumento della durata dei procedimenti civili in Tribunale, 460 giorni nel 2023 e già 466 nel primo semestre del 2024, contro i 433 giorni del 2022, a riprova del fatto che l’attuazione della Riforma Cartabia, nonostante fosse stata legiferata per ridurre i tempi delle cause civili, ha ottenuto l’esatto contrario, ossia la crescita dei tempi giudiziari. Parimenti, non si può non evidenziare la drastica situazione determinata sia dalla scarsità del numero di giudici e cancellieri e ausiliari in generale sia dallo stato fatiscente dell’amministrazione della Giustizia che emerge anche dagli uffici del giudice di pace di tutto il territorio nazionale e in particolare del distretto del Lazio e di Roma soprattutto. Una situazione inaccettabile per un sedicente stato di diritto, in cui esiste una scopertura dei giudici di pace (distretto di Roma) che ammonta a oltre il 72 per cento, con a disposizione solo 56 giudici sui 210 previsti, a fronte di una pendenza (considerata su base annua) nel settore civile di oltre 33mila ricorsi per decreto ingiuntivo e di 29mila cause tra ordinarie e opposizioni a sanzioni amministrative, che vengono affrontate solamente da 41 giudici civili.

Tutte queste dinamiche deplorevoli vengono esasperate, in modo “tragicomico”, dal previsto aumento di competenza del giudice di pace (per il 2025), in cui il valore delle cause che dovrà giudicare verrà aumentato fino a un importo massimo di 50mila euro. Inoltre, ovviamente, non è meno drammatico lo stato dell’arte in cui si trova l’attività giudiziaria penale. Per non parlare delle difficoltà che devono affrontare gli avvocati, ossia coloro tramite i quali il cittadino esercita il proprio diritto alla difesa (principio sancito all’articolo 24 della Carta costituzionale), i quali nell’esercizio delle loro funzioni fronteggiano la mancata realizzazione di un’unica piattaforma digitale per l’attività telematica, a fronte di sette distinti canali telematici già presenti, come denunciato diverse volte da tutta l’avvocatura e dalle associazioni forensi in generale e dall’associazione Tradizione e innovazione forense (Tif) in particolare, la quale con l’audizione svolta in Parlamento dal suo presidente Gaetano Parrello ha manifestato in modo deciso ed efficace questa gravosa questione.

Perciò, la succitata proposta di riforma costituzionale, nasce in un clima alquanto critico e incandescente, in cui ogni potere costituzionale dovrebbe assumersi le proprie responsabilità e dimostrare il proprio senso dello Stato e rispetto dell’equilibrio dell’ordine costituito, a cominciare dalla magistratura che per il suo ruolo costituisce un perno della nostra Costituzione e per questo non dovrebbe scadere in comportamenti irresponsabili e arroganti, che potrebbero far pensare di voler stravolgere il nostro stato di diritto in una sorta di “stato di magistratura”. Alla base di ogni giudizio ci dovrebbe essere sempre una cognizione di causa di ciò che si sta esaminando e per tanto, declinando l’illuminante massima di Luigi EinaudiConoscere per deliberare”, entriamo nel merito della succitata riforma, incentrata sulla separazione delle carriere dei magistrati, la quale, per l’appunto, rappresenta una modifica significativa dell’ordinamento giudiziario italiano, toccando degli aspetti fondamentali del sistema Giustizia.

Di seguito si riporta una sintesi dei punti principali e delle implicazioni previste dal Ddl del ministro della Giustizia Carlo Nordio:

SEPARAZIONE DELLE CARRIERE

La magistratura resta un ordine autonomo e indipendente, ma viene formalmente divisa in due carriere distinte;

1) Magistrati giudicanti (giudici);

2) Magistrati requirenti (pubblici ministeri).

Questa separazione, demandata a norme di legge ordinaria, incide su aspetti quali:

1) Concorso unico o separato per l’accesso alla magistratura;

2) Formazione (un’unica Scuola della magistratura o due distinte).

DUE CONSIGLI SUPERIORI DELLA MAGISTRATURA

Si abbandona il modello dell’unico Consiglio superiore della magistratura (Csm). Vengono istituiti:

1) Consiglio superiore della magistratura giudicante;

2) consiglio superiore della magistratura requirente.

Composizione:

1) Membri togati e laici selezionati per sorteggio;

2) Presidenza: entrambi i Csm saranno presieduti dal Presidente della Repubblica;

3) Durata del mandato: quattro anni, senza possibilità di rielezione.

ALTA CORTE DISCIPLINARE

Istituzione di una Alta corte disciplinare che si occupa dei procedimenti nei confronti di magistrati giudicanti e requirenti, assorbendo le funzioni attualmente svolte dal Csm e dalla Cassazione (Sezioni unite civili).

1) Composizione: 15 giudici (laici e togati), designati per sorteggio o nominati;

2) Incompatibilità con cariche politiche e professioni forensi.

CASSAZIONE E “MERITI INSIGNI”

1) Deroga alla separazione delle carriere: i magistrati requirenti possono essere nominati consiglieri di Cassazione per meriti insigni dal Csm giudicante;

2) Confermata la possibilità di nomina per professori ordinari di materie giuridiche e avvocati con 15 anni di esercizio.

Poiché il disegno di legge difficilmente otterrà la maggioranza qualificata dei due terzi in entrambe le Camere, è probabile che venga sottoposto a referendum confermativo. L’approvazione definitiva, quindi, potrebbe dipendere direttamente dal voto popolare.

Per diritto di cronaca e per una sorta di par condicio, si riportano anche le seguenti critiche e preoccupazioni, che vengono denunciate da coloro che contrastano la riforma in oggetto:

1) Forte accentramento del controllo politico: il sorteggio di membri da elenchi compilati dal Parlamento in seduta comune potrebbe ridurre l’autonomia della magistratura, aprendo il fianco a pressioni indirette;

2) Rischio di indebolimento dell’indipendenza del pubblico ministero: la separazione delle carriere potrebbe ridurre il ruolo del pubblico ministero come figura autonoma, aggravando la dipendenza da norme stabilite dall’esecutivo;

3) Critiche sul metodo: i tempi rapidi di approvazione e la mancanza di emendamenti sono stati definiti da alcune forze politiche e giuristi come una limitazione del dibattito parlamentare.

Al postutto, la proposta segna una svolta epocale, da un lato separando nettamente le funzioni di giudici e dei pubblici ministeri e dall’altro lato ridisegnando il sistema dell’autogoverno della magistratura. Tuttavia, le implicazioni costituzionali, politiche e operative restano oggetto di un accesissimo dibattito, al punto che il referendum rappresenterà probabilmente il banco di prova decisivo per la riforma.

Et posteris judicas

Aggiornato il 27 gennaio 2025 alle ore 16:51