La bella lezione tenuta da Nicola Iannello qui su L’Opinione delle libertà il 2 gennaio 2025, nel quadro del ciclo sulla Storia del liberalismo, ci propone un quesito che attraversa fin quasi dalle sue origini il pensiero liberale e che potrebbe essere riformulato così: un liberalismo che non sia disposto a ridistribuire la ricchezza in modo da garantire ad ogni cittadino il godimento dei beni essenziali per intraprendere la propria personale ricerca della felicità può essere considerato tale? Certo, un simile liberalismo eviterebbe di comprimere la libertà economica di alcuni, ma per garantirla a questi correrebbe il rischio di precludere la possibilità di usufruire effettivamente delle proprie libertà ad altri cittadini.
Un simile liberalismo, coincidente con il liberismo, dovrebbe infatti, se fosse coerente, eliminare ogni forma di tassazione destinata a garantire servizi essenziali come quelli dell’istruzione, della sanità e delle infrastrutture, dato che anche queste, in quanto tali, implicano una qualche riduzione della libertà economica dei contribuenti. Ma se la libertà di disporre del proprio denaro e dei propri beni in qualsiasi modo si voglia purché non nuoccia ad altri è un presupposto fondamentale del pensiero liberale fin dalle sue origini, e cioè dal tempo di John Locke, questo non implica ‒ per il filosofo inglese, che può essere considerato anche il padre del liberalismo ‒ che si debba poter disporre interamente di esso anche a prescindere dalle circostanze economiche e sociali in cui si trova la propria comunità. Quindi, questo non implica nemmeno che si debba abbracciare le teorie del lassaiz faire e della mano invisibile del mercato, formulate circa un secolo dopo rispetto a Locke da Adam Smith.
Anche se non devono essere confuse, liberalismo e liberismo sono comunque due teorie tra loro connesse, perché la libertà economica è anche una delle fondamentali libertà politiche, in quanto, come proprio Locke spiegò in modo eloquente, sulla possibilità di essere proprietari di beni e di disporre del proprio denaro si fonda la propria capacità di rendersi liberi, cioè di realizzare i propri desideri, di promuovere i propri interessi e tutelare i propri diritti in ogni ambito.
Oggi sappiamo che se si può essere liberali senza essere liberisti (e nella lezione quadro di Iannello si fanno molti autorevoli esempi), si può anche tutelare la libertà d’impresa abolendo la libertà politica (come nel caso di dittature che per quanto riguarda il rapporto tra stato e libertà d’impresa sono di tipo fascista, come oggi per esempio la Cina attuale, dove c’è una gran quantità di miliardari liberi di fare impresa e non c’è libertà politica), e si può in ultimo, ma di certo non per rilevanza teorica e politica, essere liberali e liberisti, e anche a questo riguardo sono stati fatti illustri esempi.
Che si tratti di teorie tra loro non identiche, ma connesse, è quindi abbastanza evidente, e lo attesta anche il fatto che il liberismo economico si è sviluppato come una costola del liberalismo politico, e non in virtù di una mera contingenza storica, ma bensì perché la libertà economica, costituendo una precondizione per l’esercizio di altri diritti fondamentali, dal punto di vista liberale può essere legittimamente compressa (per esempio con le tasse) solo al fine di restituire una maggiore quota complessiva di libertà politica all’insieme dei cittadini. Il che significa, per esempio, che si possono imporre delle tasse per garantire dei servizi quando questi sono utili per consentire l’esercizio dei diritti di tutti, permettendo così di far accedere alla loro fruizione anche coloro che, per ragioni economiche o culturali, altrimenti non potrebbero farlo.
Per comprendere meglio questo snodo cruciale della relazione tra liberalismo e liberismo può essere utile porsi un’altra domanda: in una società liberaldemocratica sarebbe legittimo riconoscere a ogni cittadino solo il diritto di usufruire di quanto è in grado di procurarsi per proprio merito con il proprio lavoro? Oppure anche un cittadino pigro e alquanto sciocco, con delle difficoltà a lavorare sia intellettualmente che manualmente ha comunque diritto che gli vengano forniti gli strumenti per poter vivere esercitando in modo consapevole le proprie libertà civili e politiche?
Considerando che l’esercizio di queste comporta almeno un certo grado d’istruzione e il godimento di una salute accettabile, oltre che di qualcosa da mangiare e un posto dove dormire, ci pare che la risposta da dare dovrebbe essere la seconda, anche perché altrimenti si correrebbe il rischio di scivolare rapidamente in una società imperniata più sul concetto di “selezione naturale”, che sa fare a meno di qualsiasi dottrina liberale, piuttosto che verso l’attuazione di quest’ultima. Se ne evince, dunque, che una certa quota della ricchezza “privata” deve comunque essere distribuita per garantire a tutti il godimento effettivo, e non solo virtuale e formale, degli stessi diritti.
Questa è una convinzione che si trova già nelle opere di John Locke, secondo il quale ogni governo dovrebbe assicurare a tutti i cittadini la sicurezza di poter disporre delle loro vite, oltre che delle loro libertà e delle loro proprietà. Il diritto alla vita dev’essere tutelato in quanto di essa è proprietario Dio e la sua soppressione renderebbe privi di contenuto anche gli altri due diritti fondamentali. Mentre infatti riguardo alla vita e alla libertà la posizione di Locke è radicale, per quanto riguarda la proprietà di beni non si può prescindere, nella sua attuazione, dal rispetto degli altri due principi. In particolare, Locke era convinto che il diritto di vivere doveva prevalere sul diritto di proprietà, nel senso che bisognava mettere ciascuno in condizione di poter disporre di quanto gli era indispensabile per poter vivere in modo dignitoso per consentirgli di godere effettivamente dei propri diritti anche sacrificando una quota dei beni di chi ne aveva in abbondanza.
Tale posizione sui limiti del diritto di proprietà deriva dalla convinzione secondo cui gli uomini hanno ricevuto la terra in dono da Dio. Scrive infatti Locke nel primo dei due Trattati sul governo: “Noi sappiamo che Dio non lascia un uomo alla mercé di un altro al punto che questi possa, volendo, farlo morire di fame: Dio, il padre e il signore di tutti, non ha dato a nessuno dei suoi figli una tale proprietà sulla sua particolare porzione di cose di questo mondo, egli ha dato bensì al suo fratello bisognoso un diritto al sovrappiù dei suoi beni; così che ciò non possa essergli giustamente negato, quando i suoi bisogni urgenti lo richiedono. E quindi nessun uomo potrebbe mai avere un potere giustificato sulla vita di un altro, derivante dal diritto di proprietà sulla terra o sui possessi; perché un uomo ricco commetterebbe un peccato se lasciasse morire un suo fratello non provvedendo a fornirgli aiuto grazie al proprio patrimonio”.
In linea più generale, dunque, sebbene l’uomo possa liberamente disporre dei suoi beni, secondo Locke non ha la libertà di andare contro la “ragione” che caratterizza se stesso e ogni suo simile, e la “ragione” impone a tutta l’umanità che, essendo gli esseri umani tutti opera (Workmanship) dello stesso creatore onnipotente, essi devono essere messi tutti in condizione di mantenersi in vita e di vivere nel pieno esercizio delle proprie facoltà razionali. In questo senso, pur ritenendo Locke perfettamente legittima l’accumulazione del capitale da parte di singoli individui, è anche convinto che esistano dei precisi doveri di solidarietà sociale che in una certa misura possono costituire un limite all’esercizio di tale accumulazione.
Ciò su cui si dovrebbe quindi discutere non è tanto se sia ammissibile, da un punto di vista liberale, considerare illimitato il diritto di ciascun cittadino di disporre dei propri beni, ma semmai in che misura e in quali circostanze possano essere imposti dei limiti razionali all’esercizio di tale diritto, che in effetti può essere limitato quando ciò è necessario per consentire a ciascun cittadino di rimanere in vita e di rimanervi da persona libera. Questa risulta infatti una condizione irrinunciabile, anche a costo di sacrificare in parte la possibilità di disporre dei propri beni, a sua volta fondata sul diritto di poter godere dei frutti del proprio lavoro.
Per Locke, com’è noto, per un cittadino anche il possesso del suolo, e con esso anche di quello dei suoi frutti, diventava legittimo solo quando da quel cittadino, anche indirettamente, veniva lavorato, o quando egli lo aveva ricevuto in eredità o in dono, oppure acquistato, da persone che lo avevano lavorato prima di lui. Più in generale, la giustificazione della proprietà privata dei mezzi di produzione, per usare un’espressione divenuta popolare con la diffusione del pensiero di Marx, era fondata sul lavoro, nel senso più ampio del termine, ovvero manuale e intellettuale, presente e passato. Ma questo non significa che nessuna quota dei frutti del proprio lavoro debba essere messa a disposizione della collettività per consentire a ogni suo membro di esercitare i suoi diritti, ovvero quelli che lo rendono a tutti gli effetti un “cittadino” della stessa.
Se così fosse, un principio che sta a fondamento del pensiero politico liberale potrebbe confliggere con un altro suo principio, secondo il quale ogni cittadino dovrebbe godere delle stesse libertà fondamentali di qualsiasi altro. Infatti, poiché per esercitarle effettivamente è necessario che si possa disporre dei generi di sussistenza basilari, delle cure e dell’istruzione che sono indispensabili per il formarsi di qualsiasi personalità in grado di esercitare in modo consapevole la propria cittadinanza, anche chi non ha particolari attitudini, capacità, intelligenza o volontà ha cionondimeno il diritto di essere messo in condizione di esercitare la sua razionalità nel contesto civile e politico in cui si trova a vivere.
Pur essendo quindi perfettamente legittima la posizione di coloro che pensano che la teoria economica liberista sia la più idonea anche per conseguire quest’obiettivo, su questo tema è altrettanto legittimo, pur rimanendo nell’ambito del liberalismo politico, avere opinioni diverse e ritenere invece che una più sistematica e articolata distribuzione della ricchezza possa meglio conseguirlo, e non solo nell’interesse delle fasce di reddito più deboli, ma anche del funzionamento complessivo di un sistema politico-economico di tipo liberaldemocratico.
Il fondamento da cui ogni considerazione dovrebbe sempre partire, è dunque, in conclusione, che da un punto di vista liberale non si può ammettere la libertà economica senza la tutela degli altri diritti fondamentali di ogni cittadino, perché altrimenti si correrebbe il rischio di finire, presto o tardi, in uno stato di tipo fascista, ovvero caratterizzato, come quello cinese oggi, da una notevole libertà economica senza alcuna libertà politica. E si tratta in effetti di un tipo di società in cui si potrebbe scivolare ogni volta che un congruo numero di cittadini non si sentisse adeguatamente rappresentato, come capita quando non sono in condizione di esercitare effettivamente i diritti che gli sono formalmente garantiti. Non sentendosi rappresentato, infatti, tenderà a non rispettarne le regole e i principi, fino a mettere radicalmente in discussione, anche in modo irrazionale e violento, quelli a cui tale società s’ispira.
Il non dimenticarsi dei diritti sostanziali di coloro che non riescono a conseguire un’autonomia economica potrebbe risultare utile per evitare questo rischio. Dal punto di vista liberale, infatti, anche i pigri, gli sciocchi, gli incapaci o i maldestri sono tutti “cittadini” dotati di “ragione” e in quanto tali devono essere messi in condizione di poter vivere in modo dignitoso, ovvero di esercitare in modo responsabile rispetto alla società il loro diritto alla vita, alla proprietà e alla libertà, anche perché, in caso contrario, qualora dovessero divenire maggioranza, eventualità che non si può mai escludere, sarebbero autorizzati, in una società democratica, a prendere il potere per dare poi forma agli esperimenti sociali più illusori e suggestivi, in genere forieri di dittature più o meno sanguinarie.
Aggiornato il 09 gennaio 2025 alle ore 15:57