Giorgia Meloni ammette il proprio disappunto. Rispetto ai top jobs dell’Unione europea, la premier sceglie la linea dura. “Le nomine Ue – ha affermato – sono sbagliate nel metodo e nel merito. È una mancanza di rispetto nei confronti dei cittadini”. Lo strappo è totale sul socialista António Costa, ex premier portoghese, designato alla presidenza del Consiglio europeo; e sulla liberale Kaja Kallas, premier estone, alto rappresentante Ue. Sulla presidente della Commissione, la popolare Ursula von der Leyen, Meloni si è astenuta. L’obiettivo è quello di far contare i propri voti alla Plenaria dell’Eurocamera, a luglio. La premier ha tenuto fede a un concetto già espresso alle Camere e ribadito in tarda notte, al termine di un summit complicato. Così è nato il “no” al portoghese e alla estone. La Slovacchia alla fine ha votato a favore dei top jobs Ue. E perfino Viktor Orbán, sul nuovo presidente del Consiglio europeo si è smarcato, tenendo fede alla sua filosofia di un’Europa intergovernativa e non a immagine e somiglianza della Commissione.
Lo strappo di Meloni ha due bersagli, innanzitutto: Olaf Scholz e Emmanuel Macron. È contro il loro metodo che la premier ce l’ha prima di tutto. Contro un accordo studiato a tavolino dai sei negoziatori del Ppe e planato sul vertice dei 27 senza possibilità di emendarlo. A nulla è servita la mediazione del Ppe e la moral suasion del ministro degli Esteri Antonio Tajani, che al summit dei popolari è tornato a chiedere una netta apertura ai conservatori. A nulla, inoltre, sono servite le affermazioni dei leader europei, entrando all’Europa Building, sulla necessità di tenere l’Italia dentro l’intesa sui top jobs. Meloni, alla fine, non ha cambiato idea, scagliandosi contro “una logica da maggioranza e opposizione che non ha alcun senso”. Il suo “no”, in fin di conti, non ha sorpreso più di tanto gli altri leader seduti al tavolo. Mark Rutte si è spinto a difendere la scelta del Governo. Macron ha sottolineato il suo “rispetto per Meloni”, ricordando che “l’Italia è un Paese amico della Francia”. Il fendente, tuttavia, è arrivato da Berlino. “Sono fermamente convinto che sia positivo che i partiti che appartengono alle famiglie populiste di destra non siano” parte del sostegno all’intesa, ha scandito Scholz. Quelli che separano l’Italia al voto della Plenaria su von der Leyen saranno giorni di trattative intense, sotterranee, con il governo pronto a rilanciare la richiesta di una delega di peso. Ma, dall’altra parte, il muro dei socialisti e dei liberali è destinati ad alzarsi ulteriormente. La premier, tuttavia, ha intenzione di tirare dritto. “Accodarsi non serve a uscire dall’isolamento. Non sono d’accordo che il voto contrario mette a rischio la nostra posizione in Ue. Sarebbe vergognoso se ce la facessero pagare”, ha avvertito Meloni in un lungo punto stampa notturno. “L’astensione su von der Leyen – ha puntualizzato – è frutto di una coalizione di governo divisa sul voto sulla presidente uscente, con Forza Italia favorevole e la Lega totalmente contraria”. Ma, ha avvertito, per ora “non abbiamo risposte politiche” sul programma dalla presidente uscente. “È importante lavorare bene anche con l’Italia”, è la mano tesa da von der Leyen. Nonostante l’astensione.
Aggiornato il 28 giugno 2024 alle ore 16:56