Democrazia e consenso

Lo scioglimento delle Camere da parte di Emmanuel Macron ha suscitato in Italia reazioni difformi, accomunate da un misto di machiavellismo da bar a un legalitarismo da parrocchia (non è obbligato) e quindi non “si capisce perché l’ha fatto”. La realtà è che Macron non ha della democrazia la concezione astratta e strumentale condivisa dalla sinistra italiana, ma soprattutto dal Pd. Secondo la quale è democratico chi condivide una certa declinazione dell’idea tra le diverse possibili; ma soprattutto che, anche se il popolo ne condivide una diversa è dovere di chi governa infischiarsene della volontà popolare e seguire “quell’idea”, respinta dalla maggioranza. Non è così, grazie al cielo, in Francia (e, probabilmente nella maggior parte d’Europa): lì vale la regola che, anche se il popolo sbaglia, è obbligatorio osservarne direttive (e decisioni). Il Governo democratico è, anzitutto un dominio della pubblica opinione “Government by public opinion”. Come scriveva Carl Schmitt, l’opinione pubblica è la forma moderna dell’acclamazione. Anche se non si lascia racchiudere (del tutto) in procedure formalizzate, al di là dello stesso contenuto legale delle decisioni (l’elezione dei rappresentanti al Parlamento europeo), queste devono orientare comportamenti e azione di Governo.

Come scriveva Schmitt, “i metodi legali possono scegliere solo un momento unico. In ogni caso, fa parte dell’essenza di una vera democrazia il fatto che il valore sintomatico delle elezioni e delle votazioni popolari venga legalmente rispettato”. In questo contesto, “lo scioglimento, come già illustrato, deve essere considerato come una normale istituzione di questo sistema. Se esso deve avere un senso per il diritto costituzionale, deve valere proprio nel caso in cui la maggioranza parlamentare ha dato al Governo un voto di fiducia. Il rapporto diretto con il popolo può essere allora ricercato contro la votazione di sfiducia della maggioranza parlamentare e il popolo decide come terzo in più alto grado il conflitto sorto fra il Governo e la rappresentanza popolare”. Onde “qui il potere di scioglimento è un mezzo necessario e normale di equilibrio e di appello democratico del popolo... si basi sulla chiara contrapposizione di due diverse opinioni ed il popolo approvi mediante una nuova elezione o il punto di vista del Reichstag o quello del Governo del Reich e in questo modo decida il conflitto”. Per cui la ragione è chiara e conferma il principio di legittimità democratica: il popolo decide sul conflitto generato da una riduzione verticale del consenso del Governo, in elezioni non parlamentari (in quelle parlamentari il problema non si porrebbe).

Questa sensibilità verso l’orientamento dell’opinione pubblica, in particolare se confortato da dati reali, non è solo di Macron. Anche un eroe nazionale come Charles de Gaulle quando la sua proposta di riforma regionale fu sconfitta dal referendum, si ritirò a vita privata. Né ovviamente questa osservanza è solo francese. Cosa sarebbe invece successo nella Repubblica italiana, in un caso del genere? Sarebbe partita una colossale campagna di costruzione di un’opinione pubblica artificiale. Migliaia di talk show, milioni di like, centinaia di intellettuali da industria culturale, concerti, feste di paese, marce e cortei a gogò. Comici a far lezione di diritto costituzionale (volontariamente); insegnanti di diritto costituzionale a fare (involontariamente) i comici. Tutti a osannare che la democrazia (di marca Pd) è la migliore delle possibili, anzi è l’unica possibile; che chi sostiene il contrario è un nemico del popolo e soprattutto che, se il popolo si sbaglia, è dovere degli illuminati rieducarlo. Per cui è dovere degli illuminati correggere la volontà popolare: un tempo con i gulag, oggi con metodi meno drastici.

In fondo a tale concezione c’è comunque il potenziale conflitto tra i diversi modi con cui si declina il ruolo del Governo democratico: della nota triade per cui questo è il Governo dal popolo, del popolo e per il popolo, le prime due espressioni vengono omesse e offuscate, la terza ingigantita (a beneficio delle élite). Che poi i risultati di tanto zelo siano modesti o addirittura dannosi non vale a scalfire la fede nell’immaginazione di un mondo migliore, più buono, più giusto e anche più pulito. Resta da vedere quanto possa essere forte (in senso politico) un Governo che abbia un consenso modesto, e certificato come tale dall’esito delle elezioni. Credere che le classi politiche degli Stati esteri prendano sul serio un Governo carente di consenso è pensare di vivere nel Paese dei balocchi: è chiaro che cercheranno di sfruttarne la debolezza a proprio beneficio, concedendo a quello il meno possibile per tenerlo in vita quale interlocutore (per loro) ideale. Perciò è meglio un Macron come in altri tempi, per la Francia fu Coty, che favorì la sostituzione di Governi lontani dalla volontà popolare con uno che di quello era la compiuta espressione. Iniziando un nuovo ciclo della politica e delle istituzioni francesi.

Aggiornato il 14 giugno 2024 alle ore 16:42