Dopo un anno simile, a un soffio di vita, sulla figura di Silvio Berlusconi pare aleggiare un sorta di contrappasso dantesco dove la filosofia assume un ruolo essenziale. D’altronde, se da vivo il Cavaliere veniva ispirato da Erasmo da Rotterdam, e quindi da continue esortazioni nel praticare la follia, a sua volta genesi di grandi imprese oltre che di entropie esistenziali, ora che Berlusconi ci guarda dall’alto (dire che è morto ancora non riesco), sembra che il tempo sia davvero il frutto di uno scherzo eleatico, un paradosso alla stregua della freccia di Zenone. Già, è passato un anno. Eppure sfido chiunque, estimatori – quorum ego – e fieri oppositori berlusconiani ad aver totalmente elaborato la dipartita di colui che è stato il fulcro di molte cose. Sì, d’accordo, l’ottimismo berlusconiano, la capacità di contagiare in maniera empatica il prossimo riuscendo a fargli scorgere la stessa linea d’orizzonte del proprio leader e, conseguentemente, a renderlo consapevole delle proprie capacità. Yes, you can. Un’esortazione proto-obamiana profilata più sul singolo che scolpita per la comunità. Tutto vero, però è altresì inutile celare quel piccolo vuoto che, quando vuole, si fa sentire. Inutile negarlo, inutile non riconoscere, negli ultimi dodici mesi, una malinconia carsica ma latente, pura sebbene dolcissima, come una lacrima di miele o un piccolo racconto vergato da Toussaint.
So bene che questo cedere al passato, che questo inchinarsi ai ricordi e al culto esclusivo delle radici, praticando nel contempo, anche se per pochi istanti, la noncuranza per il fogliame verdeggiante che rinasce sempre grazie alla linfa sospinta dalla sorgente, è un piccolo affronto alle volontà del presidente. Ma il ricordo è una parola la cui etimologia affonda nelle passioni e quindi, va da sé, nel cuore (ri-cor-do) che un tempo si pensava governasse tutto: il battere, il levare, i sentimenti, le emozioni e, giustappunto, i ricordi. I legami con il passato, il nostro vissuto e quindi quello che siamo ora, in questo preciso istante. Liberali, forzisti, berlusconiani nell’ordine che più vi aggrada. In pratica, coloro che si ostinano a combattere i mulini a vento come fece l’hidalgo del mito.
E allora mi piace pensare al Cav sorridente e consenziente nel rileggere quanto Miguel de Cervantes fece pronunciare al suo Don Chisciotte verso il fido scudiero: “La libertà, Sancho, è uno dei doni più preziosi che i cieli abbiano concesso agli uomini: i tesori tutti che si trovano in terra o che stanno ricoperti dal mare non le si possono eguagliare: e per la libertà, come per l’onore, si può avventurare la vita”. E proprio in nome della libertà, Silvio Berlusconi ci ha lasciato gli ideali per i quali si è sempre battuto. E questi, lo ha scritto in maniera lucida la figlia Marina, sono quel che rimane dopo che tutto scorre. Il Pánta rheî non ha sempre l’ultima parola. La vita, la libertà e la proprietà sono quei principi cardine capaci di tratteggiare la strada anche di chi ancora deve intonare il suo primo vagito su questo mondo.
Aggiornato il 12 giugno 2024 alle ore 17:10