Avanti, c’è posto

La Costituzione italiana, all’articolo 21, stabilisce la libertà di espressione, sia essa professata con la parola scritta o orale sia per mezzo di “ogni altro mezzo di diffusione”. Dello stesso tenore, ovviamente, sono le leggi fondamentali di ogni altro Paese democratico. Ciò che accade regolarmente nelle vie e nelle piazze italiane, e non solo, testimonia quanto quell’articolo della Costituzione venga apprezzato dalle varie categorie sociali ma soprattutto applicato con grande disinvoltura. Alcuni luoghi urbani, specialmente a Roma, sono sostanzialmente dedicati alla manifestazione del giorno, con un programma quotidiano di proteste collettive di questa o quella organizzazione sindacale o quasi sindacale. È come se esistesse una soglia al di sotto della quale gli appartenenti ad una categoria sociale si limitano a mugugnare e lamentarsi nei circoli privati e al di sopra della quale, constatando il permanere dei problemi, decidono di passare alle maniere forti. E allora eccoli scendere in piazza per urlare le proprie richieste, magari bloccare la vita quotidiana altrui e fare rumore con tutto quello che hanno a disposizione. L’obiettivo è evidente: prevalere nella cronaca del giorno e porre la propria situazione al centro dell’attenzione generale e soprattutto del Governo, qualora la cosa fosse di pur parziale sua competenza. La tattica preferita dagli organizzatori può consistere nel bloccare le ferrovie o le strade, impedire l’accesso ad uffici pubblici o luoghi privati nella consapevolezza che più danni clamorosi si generano tanto più si attiverà l’attenzione del Governo.

In fondo, è la logica storica delle manifestazioni sindacali che, oggi, raggiunge una potenza amplificata dai mass media. Questi, insensibili alla modesta protesta individuale rivolta, poniamo, ai disservizi di questo o quell’ufficio pubblico, sono invece, comprensibilmente, sensibilissimi all’ostruzione di strade o autostrade da parte di centinaia di trattori condotti da persone convinte che la forza sia l’unico e legittimo modo per ottenere qualche risultato favorevole per la propria categoria. Il fatto è che nessuno, si tratti di chi assiste al telegiornale o di un automobilista bloccato fra mezzi che ostruiscono la strada, è in grado di stabilire se la categoria che sta protestando abbia ragione e quanta ne abbia. Il solo fatto evidente è il blocco della strada e i problemi che, questo fatto, genera per lui. Da qui, fra l’altro, deriverà la sua persuasione che, se ritenuto necessario, sarà lui stesso assieme agli appartenenti alla propria categoria ad essere legittimato a fare altrettanto in futuro. O, magari, semplicemente ricorderà la stessa azione cui ha partecipato qualche giorno prima. Insomma, presto o tardi, tutti in piazza con le proprie ragioni. Ma col rischio della concorrenza. Già, perché se i trattori si fossero trovati a loro volta bloccati dagli eco-teppisti sdraiati sull’asfalto, per le proprie ragioni, cosa sarebbe accaduto? Altri movimenti pseudo-sindacali, a loro volta, potrebbero scendere in piazza persino per una sorta di meta-protesta tesa a denunciare che il carnet delle manifestazioni previste, nei luoghi che contano, cioè strade e città importanti, li costringe a posticipare fastidiosamente la loro, e così via.

Al di là di tutto questo una sola cosa è certa: le democrazie liberali hanno loro istituti essenziali per la discussione, la protesta e la proposta. Innanzitutto il Parlamento ma, assieme a questo, i rappresentanti in carne e ossa che vi siedono i quali sono, o dovrebbero, essere raggiungibili e mobilitabili da qualsiasi cittadino o gruppi di cittadini. Le stesse lobby, se ben regolamentate, sono fatte proprio per difendere gli interessi delle varie categorie. Scendere in piazza nelle modalità più brutali che stiamo sempre più vedendo dimostra solo due cose: da un lato l’inefficienza politica, in senso largo, dei leader i quali trovano più agevole e più redditizio, ma solo nell’immediato, portare in piazza migliaia di persone, o di trattori, che non tessere relazioni serie e documentate, stressanti ma alla lunga più proficue, con i rappresentanti parlamentari; dall’altro la disattenzione di questi stessi, quindi della politica e del Parlamento in generale, per i problemi, soprattutto di quelli seri e documentati, che il Paese si trova di fronte. Anche senza o prima che qualcuno glieli indichi dalla piazza.

Aggiornato il 05 febbraio 2024 alle ore 11:31