Dobbiamo fare la Terza Italia

C’è un’Italia che non vota, alle ultime tornate elettorali ha sfiorato il 60 per cento. C’è un’Italia contro la facile demagogia, “il Paese al contrario” che ha santificato il libro dell’ex generale della Folgore, Roberto Vannacci. C’è un’Italia insoddisfatta dal fisco, dalle politiche immigratorie, dall’inflazione, dalle misure sulla piccola e media impresa, dalla sanità, dalla pubblica istruzione. C’è un pezzo d’Italia che non capisce le politiche estere, preoccupata dall’instabilità crescente e dal precipizio israelo-palestinese. Eppure, è un’Italia a cui Giorgia Meloni piace, che giudica la premier credibile e capace, ma resta smarrita di fronte ai valori, agli ideali e alle politiche culturali ed economiche che arrancano nonostante i buoni e difficili risultati conseguiti in campo internazionale. Mario Sechi, neo direttore di Libero e fino a qualche mese fa portavoce del presidente del Consiglio a Palazzo Chigi, ha rivelato che nei summit esteri Giorgia Meloni raccoglie successi “come una star”. “I più importanti leader delle nazioni mondiali vogliono conoscerla, sono ammirati dalla concretezza e dall’efficacia, nonostante i distinguo”, ha raccontato Sechi che l’ha seguita da vicino. E molte sono le analisi positive d’immagine e d’impianto politico. Tuttavia, a parte le difficoltà oggettive, resta una questione aperta. Riuscirà Giorgia a convincere l’elettorato della sua tenuta, viste soprattutto le complicazioni innescate dalle tensioni internazionali e dalle conseguenze delle immigrazioni e tensioni sociali? Come garantirà la premier quell’Italia scettica, disillusa, scoraggiata destinata a crescere?

Una risposta adeguata a questi problemi sulla tenuta del governo, e di conseguenza sulla stabilità del centrodestra, dall’area liberale, liberista e libertaria anche vicina al Partito liberale italiano, che nel suo restyling strutturale ha messo al centro proprio questa “Terza Italia” in sospensione, a cui mira di rivolgersi per costituire un riferimento ideale e reale, colmando il vuoto destinato ad evidenziarsi con la scomparsa di Silvio Berlusconi. Un altro “cavaliere delle libertà” sarà impossibile crearlo, ma un movimento storico, intellettuale, per i diritti e le libertà potrebbe assolvere al ruolo di contenitore dei valori e delle linee programmatiche di un centrodestra non solo “contro” e “in polemica” con gli avversari, ma determinato a superare la fase attuale per costruire quella “Terza Italia” senza la quale la politica italiana e il Paese rischiano grosso. A queste domande ha risposto sulle pagine de L’Opinione Antonino Sala con un articolo pubblicato il 23 settembre scorso, dal titolo “Rappresentare la Terza Italia: una missione possibile” nel quale scrive: “C’è un’Italia che guarda con disincanto, e anche con un po’ di rassegnazione, alle proposte politiche degli ultimi anni, che non solo non risolvono i suoi problemi ma quando è possibile li aggravano. Ecco, a questa terza Italia bisogna dare voce e rappresentanza”. Non è solo la Terza Italia coniata dal sociologo e accademico dei Lincei, Arnaldo Bagnasco che, nel 1977, così definì il Paese delle piccole e medie imprese diverso da quello contadino e della grande industria, che attende una svolta. E non è solo “la maggioranza silenziosa” come la si chiamava allora. Nella sua analisi, Sala tratteggia le varie Italie: la prima incentrata a mantenere lo status quo dei privilegi e degli interessi del potere; la seconda quella progressista e “figlia dell’invidia sociale che le avvelena la mente e il cuore”; infine la “terza” che lavora e paga le tasse, che crede nella libera impresa, vessata dalla burocrazia, sulla quale le politiche assistenziali si sono abbattute divorandola.

Ma questa “Terza Italia” non è più solo “silente e sfuggente”, è l’Italia che rischia di implodere e che nonostante l’affermazione del governo di destra e della buona resa di Fratelli d’Italia e di Giorgia Meloni non trova il suo centro di gravità ideale, frantumato sia dall’aggressività delle sinistre gender e sia anche dall’oggettiva datazione delle politiche centriste, che pure hanno reso i più fertili tempi della politica. Non basta uno slogan per dire “rifaccio il centro”. Per intenderci, la questione non è solo l’immigrazione invadente come fermarla, ma l’idea complessiva su un fenomeno strutturale dei nostri tempi. La questione non è solo come sconfiggere Vladimir Putin e salvare l’Ucraina, o essere tutti israeliani. Il problema è culturale, cioè quale Italia vogliamo disegnare e in quale mondo. Per questa missione la pur brava e attivissima Giorgia Meloni da sola non può bastare. Per rilanciare i valori della culla europea e cristiana non possiamo guardarci indietro, ma forti delle radici possiamo gettare le basi dell’Italia che risorgerà da questi tempi finiti. Bisogna avere un’idea nuova del mondo, delle economie, delle relazioni tra Paesi non secondo i vecchi blocchi. Dobbiamo discutere, dobbiamo fare quello che fecero i Padri costituenti quando disegnarono l’Italia costituzionale dopo il baratro delle due guerre. Dobbiamo dare una casa a quella parte del Paese fatta dalle intelligenze oggi schiacciate e sacrificate dalla rissosità, dalla caciara dei social, dalla superficialità, dalla volgarità e dall’ignoranza contemporanea. Una casa per gente che pensa, che costruisce, che progetta virtuosamente superando la decadenza dell’intelletto.

Occorre ridare linfa alle aspettative di docenti, funzionari statali, liberi professionisti, piccoli proprietari, studenti universitari. Bisogna ridare una battaglia per i diritti, che però si discosti dal politicamente corretto e dalle ambiguità del progressismo dei generi per lanciare nei paradigmi dell’innovazione, dell’intelligenza artificiale e delle nuove frontiere l’idea di un uomo universale non sottomesso alle tecnologie, ma saldamente ancorato ai valori dello spirito e delle libertà. A questo proposito, l’annuncio del segretario del Pli, Roberto Sorcinelli e del presidente nazionale, Francesco Pasquali, di raccogliere l’idea del filosofo Tommaso Romano di dare vita a una “Consulta liberale”, che possa raccogliere intelligenze e personalità, anche non iscritte al partito, coglie questa esigenza di dialogo, di discussione, di progettazione. Di fronte anche ai grandi temi di carattere internazionale appare evidente come i protocolli del passato inchiodati sui blocchi, in cui il logorio dei conflitti rischia di scadere nell’odio e nella catastrofe umanitaria, richiede nuove visioni di riposizionamento. Una Consulta che sappia guardare ai linguaggi e sappia ritrovare la credibilità dell’informazione, che sappia offrire ai giovani nuovi modelli educativi, di emancipazione e di affermazione. E che affronti la questione dei generi non con la degenerazione e la divisione del progressismo, acuendo conflitti e portando all’esasperazione il confronto, ma offrendo nuovi paradigmi di realizzazione delle personalità incentrati sulla libertà e sul rispetto, in cui prevalga non solo il sessismo ma il talento e le qualità. Per un progresso democratico, egualitario, che crei pace e benessere.

Aggiornato il 13 ottobre 2023 alle ore 16:43