Un sindacato fuori dal tempo

I sindacati confederali hanno ancora la funzione storica di tutela dei lavoratori? Chi rappresentano? È compito del sindacato contestare la riforma fiscale?

La crisi della rappresentanza sindacale comincia con la trasformazione dell’impiego, a causa della riduzione dell’utilizzo della forza lavoro attiva nel settore secondario (industria manifatturiera) e per l’incremento dell’occupazione nei servizi del terziario. Il ricorso all’automazione nelle fabbriche ha comportato la conseguente riduzione dell’utilizzo del lavoro manuale. Nella seconda metà degli anni Ottanta, nascono nuove professioni non regolamentate e nuovi tipi di contratti che non vengono disciplinati dai patti collettivi di lavoro. I nuovi lavoratori non si iscrivono al sindacato, perché non gli riconoscono il ruolo di tutela e ancor meno la rispettiva rappresentanza.

La storia delle organizzazioni sindacali in Italia (“cinghia di trasmissione tra i partiti politici e il mondo del lavoro”) era legata al collateralismo ai partiti politici di riferimento. La Cgil è stata una organizzazione al servizio e al comando del Partito Comunista e dell’ala più massimalista del Partito Socialista italiano. Per decenni il sindacato rosso era rappresentato da un segretario confederale, diretta espressione di Botteghe oscure e da un segretario aggiunto, che rappresentava i lavoratori che votavano per socialisti. La Cisl era il sindacato bianco e rispondeva alla Democrazia Cristiana in rappresentanza dei lavoratori cattolici. Gli iscritti della Uil erano i lavoratori che si identificavano nella componente riformista del Psi e dei Repubblicani. L’Ugl era il sindacato riconducibile al Movimento Sociale italiano.

Le segreterie delle organizzazioni dei lavoratori erano una sorta di sottufficiali dei partiti politici di riferimento, quindi la loro azione era funzionale alle esigenze politiche di parte. A fine mandato i segretari confederali venivano premiati con un seggio in Parlamento. La loro sudditanza ai partiti di riferimento fu evidente con il memorabile referendum relativo al taglio di quattro punti della scala mobile del 9-10 giugno del 1985, quando il Governo presieduto da Bettino Craxi, sostenuto dal pentapartito, si scontrò con il Pci che era all’opposizione. La Cgil, in quanto cinghia di trasmissione, si schierò contro il referendum mentre la Cisl e la Uil lo appoggiarono, poiché i partiti di riferimento erano al Governo. La vittoria di Craxi rappresentò una cocente sconfitta dell’allora segretario del Pci, Alessandro Natta.

Il ruolo dei sindacati confederali subì una radicale trasformazione con il crollo dei partiti a causa di “Tangentopoli”, che travolse la Dc, le forze laiche e anche tutta la classe dirigente dei partiti stessi. La “triplice sindacale” diventa un vero e proprio soggetto politico. Si passa dalla teoria della “conflittualità permanente” contro le organizzazioni datoriali alla “concertazione”, ovvero un accordo che stabilisce ex ante i miglioramenti reddituali dei lavoratori con un meccanismo automatico. I rinnovi dei contratti collettivi venivano ancorati all’inflazione. Gli scioperi non venivano più proclamati per sostenere le istanze sindacali, ma per ragioni squisitamente politiche. L’obiettivo del sindacato non è più la tutela del lavoro e dei lavoratori (la maggioranza degli iscritti sono pensionati) bensì l’opposizione di piazza ai governi di centrodestra.

Il congresso della Cgil è la plastica conferma di un sindacato politicizzato, interessato più a fare opposizione all’Esecutivo che a svolgere la sua funzione storica.

Aggiornato il 21 marzo 2023 alle ore 10:48