Cospito, Comitato Bioetica: “No a misure contro la volontà della persona”

Sul caso di Alfredo Cospito si esprime il Comitato nazionale di Bioetica. Interpellato il 6 febbraio scorso dal Ministero della Giustizia, il Cnb ha espresso all’unanimità un parere sui quesiti formulati dal dicastero attorno al rifiuto e alla rinuncia di trattamenti sanitari da parte dell’anarchico detenuto in regime di 41 bis. I membri del Comitato nazionale di Bioetica condividono il “rifiuto di adottare misure coercitive contro la volontà attuale della persona” e “ritengono che non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della Legge 219/2017 nei confronti della persona detenuta, che, in via generale, può rifiutare i trattamenti sanitari anche mediante le Disposizioni anticipate di trattamento (Dat)”. Lo indica lo stesso Comitato, che nella sua riunione plenaria del 6 marzo “ha approvato il documento di risposta ai quesiti del Ministero della Giustizia presentati il 6 febbraio scorso”. Il Comitato, prosegue la nota, “si è in primo luogo interrogato sulla possibilità di rispondere a quesiti per i quali è evidente il collegamento a una vicenda personale chiaramente riconoscibile, per quanto non esplicitamente menzionata”.

Il regolamento del Cnb esclude che si possano dare risposte a “quesiti riferiti a casi personali”, ma prevede che ciò possa avvenire “in ipotesi eccezionali in cui ricorrano motivi di interesse generale e comunque nel rispetto della funzione giurisdizionale spettante alla Magistratura”. Di conseguenza il Comitato “non ha alcuna legittimità giuridica, politica, morale ed etica per formulare un parere ad personam. Di conseguenza, la risposta del Cnb ha un carattere generale”. Nel corso della seduta sono emerse “diverse riflessioni condivise”, che “sono la premessa di posizioni che si differenziano in alcune conclusioni”. La maggioranza dei componenti del Comitato (19) “ha ritenuto che, nel caso di imminente pericolo di vita, quando non si è in grado di accertare la volontà attuale del detenuto, il medico non è esonerato dal porre in essere tutti quegli interventi atti a salvargli la vita” e rileva che “la stessa Corte europea dei diritti umani (Cedu) ha sostenuto di recente che: ‘né le autorità penitenziarie, né i medici potranno limitarsi a contemplare passivamente la morte del detenuto che digiuna”.

Si rileva inoltre che “le Dat sono incongrue, e dunque inapplicabili, ove siano subordinate all’ottenimento di beni o alla realizzazione di comportamenti altrui, in quanto utilizzate al di fuori della ratio della Legge 219/2017”. Altri componenti del Cnb (9), ritengono che “non vi siano motivi giuridicamente e bioeticamente fondati che consentano la non applicazione della Legge 219/2017 nei confronti della persona detenuta in sciopero della fame, anche in pericolo di vita. Anche in questo caso la nutrizione e l’idratazione artificiali possono essere rifiutate, anche mediante le Dat e la pianificazione condivisa delle cure. Il diritto inviolabile di vivere tutte le fasi della propria esistenza senza subire trattamenti sanitari contro la propria volontà – derivazione logica del diritto alla intangibilità della sfera corporea di ogni essere umano – costituisce un principio costituzionale fondamentale del nostro ordinamento”. Infine, 2 membri del Comitato, “pur privilegiando questa seconda posizione per quanto riguarda l’interpretazione dell’ordinamento vigente e l’applicabilità delle Dat, ritengono che un diverso bilanciamento dei principi in gioco non sia da escludere, anche guardando all’esperienza di altri Paesi. Considerano tuttavia – conclude la nota – che un intervento del legislatore sia la via obbligata, comunque stretta per vincoli e giurisprudenza costituzionali. Sottolineano inoltre la necessità di offrire un esplicito e chiaro riferimento normativo a chi si troverà a prendere queste decisioni, a partire dai medici”.

Aggiornato il 07 marzo 2023 alle ore 17:04