Le cose buone del fascismo di Galli della Loggia

Ce lo doveva spiegare l’illustre e stimato politologo Ernesto Galli della Loggia che si può dire che “il fascismo fece anche cose buone. E che, dunque, si può osservare dal finestrino della propria auto il verde della bonifica Pontina senza doversi tappare la bocca e castrare la mente per non incorrere nella punizione toccata a Claudio Durigon, costretto a dimettersi immediatamente da sottosegretario dai leder di Lega e Fratelli d’Italia per aver osato proporre di intitolare un parchetto di Sabaudia ad Arnaldo Mussolini, fratello del Duce. Recente caso di “purga del politicamente corretto” su due piedi, senza mezza parola né uno straccio di dibattito, per di più dal suo stesso fronte, neppure da quello avversario, che si è limitato a pretendere a distanze le dimissioni, subito eseguite. D’altro canto abbiamo visto come è andata nell’urna per Matteo Salvini e Giorgia Meloni, come l’elettorato ha risposto alle loro chiamate al voto!

Una vera vergogna. E un errore quella “pulizia etnica sul Ventennio”, ammette ora il noto editorialista di origini socialiste, mai comunista seppure votò il Pci, che ha dedicato alla questione un recente articolo sul Corriere della Sera. Ha scritto: “Pensare — come sembrano pensare molti democratici — che il semplice fatto di dire che il fascismo ha fatto ‘anche delle cose buone’ equivalga ad essere dei criptofascisti, e che una tale opinione diffusa testimoni di un pericolo fascista, pensare ciò implica conseguenze inaccettabili”. Il fine docente di storia contemporanea, intuita nell’astensione una pericolosa disaffezione e un distacco rischioso, prima che gli intellettuali liberali e di destra si sveglino dal sonno nichilista e la piccola oligarchia si scuota dallo stretto giro di interessi, se n’è uscito con un paragone spiazzante: “All’indomani del rapporto Krusciov sui crimini dello stalinismo Palmiro Togliatti, segretario del Partito comunista, diede sull’argomento una famosa intervista, nella quale a un certo punto si legge testualmente ‘Stalin non commise solo errori ma fece anche delle cose buone’. Ora mi chiedo: se — a proposito di colui che era responsabile dell’assassinio di alcuni milioni d’innocenti — una persona avveduta come Togliatti poteva, senza che nessuno lo accusasse di voler impiantare il gulag in Italia, dire una verità lapalissiana come questa (ad esempio aver contribuito alla vittoria sul nazismo, sia pure dopo essercisi alleato, era stata certamente una ‘cosa buona’), perché mai, invece, dire di Mussolini che ’ha fatto anche delle cose buone’ — come hanno sempre detto e dicono ancora oggi milioni di nostri concittadini — dovrebbe essere la prova allarmante che gli italiani non hanno mai smesso di essere fascisti, e che perciò l’Italia intera corre sempre il rischio di divenire tale?”.

La disquisizione di Galli della Loggia, secondo cui sbaglia chi sostiene che il “pur buono” non regge di fronte a chi ha compiuto “il male assoluto”, si fonda su due considerazioni. La prima: “è una idiozia pensare che ci siano periodi della storia o tutti bianchi o tutta neri” e che se uno “non condanna in toto” è già dalla parte del torto. La seconda: “così si dimostrerebbe di non avere alcuna fiducia nell’amore e nel gusto per la libertà degli italiani”. Da qui la conclusione dell’editoriale: “Davvero la Repubblica deve avere paura ancora oggi, dopo settant’anni, del ricordo della bonifica pontina e delle trasvolate di Italo Balbo?”. Un’operazione repentina e sottilissima, quella del politologo. E poiché sono stata tra coloro che, di fronte alle inchieste giudiziarie e alle minacce di chiusure di forze della destra radicale per “apologia fascista” (e non semmai per reati comuni), ho proposto riflessioni e un’iniziativa sul Ventennio, mi sento in dovere e mi permetto anche io di commentare. Sostenendo che il paragone di Galli della Loggia che usa l’affermazione di Palmiro Togliatti su Stalin non mi sarebbe mai venuto in mente. E non è proponibile per parlare delle opere sotto Benito Mussolini. La difesa dei valori degli anni Trenta e Quaranta di tanti italiani non ha questo tono. Non è questo il “non ripudio” che intendiamo sollevare a riscatto di quel popolo che forse sbaglia, ma non è quello che la sinistra va descrivendo dagli anni Settanta delle stragi e del Circeo.

Sono forse epigoni di un sistema a cui è mancata la possibilità di difendersi come hanno potuto fare i terroristi rossi, le loro latitanze non sono state altrettanto garantite e protette, le loro storie nere sono state demonizzate e usate dall’inganno comunista, i ‘martiri’ di quella parte – e cioè quell’Ade di ragazzini uccisi e sputati perché del Msi – non hanno ancora avuto una cerimonia funebre e men che mai un barlume di giustizia, vite mai riscattate attraverso la cultura, l’arte, la comunicazione, l’editoria. E con essi oggi chiunque non abiuri il centrodestra e tutt’al più vagheggi l’appoggio di Matteo Renzi o di Carlo Calenda. Cioè o ex Pd o niente, mentre tutto ricade sotto un’unica mentalità e gerarchia. Il nostro punto è un altro. Quando difendiamo il Ventennio non pensiamo al paragone di Galli della Loggia, noi difendiamo la vita, la memoria, la storia dei nostri genitori, delle nostre famiglie, di milioni di italiani che sono nati e vissuti in quegli anni. E sono stati buoni uomini e buone donne della civiltà e del progresso, il nostro patrimonio ideale nonostante Stalin e Mussolini. Difendiamo questo tipo di cittadino, partecipe e protagonista del suo tempo, insieme al numero enorme di scrittori, autori, poeti, pittori, musicisti, architetti, uomini di tutte le arti e tutte le discipline, che la sinistra cerca di liquidare con la scusa del “fascismo” per cancellare le nostre radici e imporre il suo pensiero unico. È ben diverso, no?

Aggiornato il 02 novembre 2021 alle ore 12:01