La contraddizione della nostra Costituzione
È del tutto pacifico che la Repubblica italiana si consideri laica ed è altresì pacifico che la Costituzione italiana si ispiri ai principi della laicità dello Stato. Tuttavia, non a caso, si è spesso utilizzata l’espressione “laicità all’italiana” che, come cercheremo di portare alla luce, nasconde molte insidie se non addirittura delle palesi contraddizioni, come di recente è stato portato all’attenzione della cronaca con l’intervento della Chiesa cattolica in relazione al dibattito sul Ddl Zan in cui se ne chiedevano modifiche e a cui ha ribattuto il presidente del Consiglio in Parlamento, dichiarando che “l’Italia è uno stato laico” e che “il nostro ordinamento contiene tutte garanzie per rispettare gli impegni internazionali tra cui il concordato”.
Ma davvero le cose stanno così? Davvero l’Italia è uno stato laico? Soprattutto, davvero il Concordato è un “semplice” trattato internazionale? Al di là dell’assenza di un’affermazione chiara ed esplicita in sede costituzionale sulla laicità dello Stato, cui la giurisprudenza ha cercato di porre rimedio mediante una serie di sentenze della Corte costituzionale (la 440 del 1995, la 334 del 1996, la 329 del 1997 e la 508 del 2000), è l’articolo sette della nostra carta fondante che rappresenta, sin dal 1948, il vulnus principale dell’aspirazione italiana alla laicità che Cavour ben definì con la celeberrima espressione, “libera Chiesa in libero Stato” nei discorsi del marzo-aprile 1861 al primo Parlamento italiano.
Dopo un lungo e complesso lavoro di mediazione politica e filosofica, l’Assemblea costituente raggiunse un punto di caduta per la regolazione dei rapporti tra la nascente Repubblica e la Chiesa cattolica nella formulazione dell’articolo sette, che recita: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale”. È bene ricordare che la Costituzione è la legge fondamentale dello Stato e che, di conseguenza, qualunque altra fonte legislativa, Parlamento compreso, non può produrre norme in contrasto con la Carta costituzionale, pena l’abrogazione delle stesse per incostituzionalità.
Tuttavia, dato che sulla base dell’articolo sette i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti lateranensi, questi ultimi diventano parte integrante della legge fondamentale della Repubblica italiana, godendo tra l’altro di uno statuto privilegiato, non essendo necessario un processo di revisione costituzionale ordinario (sulla base dell’articolo 138 della Costituzione), ma un semplice accordo tra le parti. All’articolo uno del “Trattato fra la Santa Sede e l’Italia” leggiamo che “l’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’articolo 1° dello Statuto del Regno, 4 marzo 1848, pel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”.
La inevitabile conseguenza di questa intersezione tra norme, di fatto aventi portata costituzionale e quindi fondante, è semplice: la Repubblica italiana nasce come stato confessionale e per nulla laico. L’Italia è stata, giuridicamente parlando, uno Stato dichiaratamente confessionale almeno sino al 1984, quando si è proceduto bilateralmente alla revisione dei Patti Lateranensi, che vengono all’epoca integrati dall’“Accordo tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana che apporta modificazioni al Concordato Lateranense” dove leggiamo al punto primo del “Protocollo addizionale” che “si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano”.
È indiscutibile, dunque, che per oltre tre decenni l’Italia è stata una Repubblica in cui “la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato”. A questa situazione, del tutto anomala per uno Stato che si auto-professava laico, si è tentato di porre rimedio, come abbiamo visto, solo nel 1984. Tutt’altra questione è se questo tentativo sia riuscito a raggiungere lo scopo prefissatosi.
Come è noto, l’articolo uno – insieme al secondo – dei Patti Lateranensi rappresentava l’anima di quel trattato, con cui si chiudeva la cosiddetta “questione romana”, sorta nel 1870 con la breccia di Porta Pia e trascinatasi per sessant’anni caratterizzati da una cortina di ferro tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano, cortina che quei Patti eliminavano mediante i primi due articoli. Lo Stato riconosceva “la sovranità della Santa Sede” (articolo 2) e la religione cattolica come “la sola religione di Stato” (articolo 1) e la Chiesa cattolica, in cambio di questa duplice concessione, riconosceva la legittimità dello Stato italiano, ponendo fine a un conflitto pluridecennale.
La prima decisiva questione consiste appunto nel comprendere che il Concordato del 1984, nella misura in cui stralcia l’articolo uno, non è affatto una revisione dei Patti Lateranensi, ma ne rappresenta una vera e propria abrogazione di fatto che richiederebbe, per essere costituzionalmente perfezionata, la modifica dell’articolo sette – che, ricordiamolo, stabilisce la priorità dei Patti del 1929 – mediante un regolare percorso di revisione costituzionale (articolo 138) unilateralmente posto in essere dal Parlamento italiano che arriverebbe così a conquistare l’agognata laicità dello Stato.
In seconda battuta, pur ammettendo ma non concedendo, che il Concordato del 1984 non ponga seri problemi di natura costituzionale, rimane pur sempre vero che la Chiesa cattolica mantiene una posizione di privilegio rispetto a qualunque altra confessione religiosa e se non è più “la sola religione di Stato”, di certo mantiene uno statuto privilegiato che le consente di intervenire pesantemente nelle questioni di Stato come è accaduto in occasione del Ddl Zan, con buona pace della presunta laicità dell’Italia.
L’articolo due del Concordato del 1984 recita infatti: “La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare, è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”. Tradotto in soldoni, se in Italia viene posta in essere una legge che impedisce alla Chiesa cattolica e ai suoi fedeli la “piena libertà” soprattutto “di esercizio del magistero”, tale legge è, di nuovo, incostituzionale. E l’articolo quattro del Ddl Zan, di fatto, minaccia tale “piena libertà” poiché la concezione eterosessualista e procreativista è parte centrale del “magistero”.
Ne segue che, nella misura in cui il Cattolicesimo – nell’esercizio del proprio magistero – continuerà a insegnare che tra eterosessualità e non-eterosessualità sussiste una differenza sostanziale per cui la seconda è un errore, sulla base dell’articolo 4 del Ddl Zan tale insegnamento è discriminatorio o comunque pone in essere un gigantesco conflitto prima culturale e poi giuridico tra lo Stato e la Chiesa. Ma i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi (o, nell’ipotesi più favorevole allo Stato, dal Concordato del 1984) dove si stabilisce, come minimo, che “la Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà… di esercizio del magistero”, derubricando l’articolo quattro del Ddl Zan a norma incostituzionale.
I Patti Lateranensi e le loro modifiche non sono un semplice trattato internazionale, dato che sono stati recepiti direttamente in Costituzione, diventando – di fatto – una sorta di “emendamento” alla stessa. La questione, dunque, è estremamente molto più complessa di quanto vogliono far credere coloro che si appellano alla laicità dello Stato italiano. Nella migliore delle ipotesi “la laicità all’italiana” è una laicità semi-confessionale se non addirittura del tutto confessionale, ponendo la Repubblica nella gigantesca contraddizione di affermare “sub eodem” di essere e di non essere laica.
La Costituzione è incatenata e depotenziata da questa contraddizione logica e insieme giuridica, per uscire dalla quale sarebbe necessario percorrere la via maestra dello stralcio dei Patti Lateranensi dall’articolo sette, per ottenere il quale si deve passare dalle forche caudine di una riforma costituzionale (articolo 138). Fino a quando tale riforma non sarà approvata, la Chiesa cattolica si muove nel suo pieno diritto, che la stessa Repubblica le riconosce, con buona pace della presunta laicità dello Stato.
Aggiornato il 31 agosto 2021 alle ore 11:46