Cassazione: radiazione per Palamara

La Corte di Cassazione spegne le speranze dell’ex presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara. Non potrà più tornare a indossare la toga, è definitivamente fuori dalla magistratura.

Con una sentenza di 180 pagine le Sezioni uniti civili hanno infatti rigettato il ricorso contro la sentenza della Sezione disciplinare del Csm che ad ottobre dell’anno scorso aveva condannato Palamara alla sanzione più drastica, la rimozione dall’ordine giudiziario. Un provvedimento che non era mai stato adottato nei confronti di un ex presidente del sindacato delle toghe ed ex consigliere del Csm e che ora non può più essere impugnato. Lui però non demorde: “Rispetto la decisione, ma la battaglia continua”, dice riferendosi all’impegno per far emergere la “verità” sul sistema delle correnti. Poi annuncia che porterà il suo caso “in Europa” e attacca la credibilità di chi lo ha accusato e condannato, a partire dal vicepresidente del Csm, “eletto secondo gli stessi meccanismi che ora mi vengono contestati”.

La vicenda che ha segnato la fine della carriera da magistrato di colui che è stato a lungo anche un punto di riferimento per la corrente di Unicost, è la famosa riunione all’hotel Champagne con alcuni consiglieri del Csm allora in carica – poi tutti dimessi e ora sotto procedimento disciplinare – intercettata tramite il trojan inoculato nel cellulare di Palamara, che era finito sotto inchiesta a Perugia per i suoi rapporti con l’imprenditore Fabrizio Centofanti. Con i consiglieri e i parlamentari Cosimo Ferri e Luca Lotti (all’epoca imputato nel processo romano Consip) Palamara definì, secondo la Sezione disciplinare del Csm, la strategia per pilotare alcune nomine, a partire da quella del procuratore di Roma.

Inoltre, sempre secondo la condanna, Palamara discusse anche con altri interlocutori una strategia di discredito di alcuni colleghi, come l’aggiunto di Roma Paolo Ielo. La Cassazione smonta punto per punto gli 8 motivi di ricorso presentati dai legali dell’ex magistrato contro la sentenza disciplinare. Un lungo elenco di doglianze che partivano dalla mancata ricusazione di uno dei suoi giudici, Piercamillo Davigo, e dalla violazione della normativa della Corte europea dei diritti dell’uomo sul giusto processo per la mancata ammissione dei testimoni richiesti.

E a Palamara i supremi giudici non fanno nessuno sconto: “Ha agito sulla base di motivazioni assolutamente personali”, ha voluto “colpire specificamente singoli magistrati, volta per volta presi di mira”, ha messo in atto “manovre strategiche tese a collocare – in alcuni uffici giudiziari sensibili – taluni magistrati in luogo di altri aspiranti”, non per “meriti oggettivi, ma unicamente in forza di convenienze strettamente personali, dell’incolpato e dei suoi interlocutori”.

Una condotta, notano i giudici, “tutt’altro che occasionale ma, al contrario, soggettivamente avvertita dall’incolpato come assolutamente normale, usuale, fondata sul radicato convincimento della riconducibilità sistematica delle proprie condotte anche al piano di una possibile e lecita (se non addirittura scontata) interlocuzione tra magistratura e politica”.

Aggiornato il 05 agosto 2021 alle ore 10:18