La giustizia si appella alle fonti sovranazionali, contro Dpcm e Green pass all’italiana

Parafrasando Eugene Ionesco, “la menzogna è morta, il ricatto pure e anche la paura non si sente molto bene”. Se fosse vero, in questa brutta pagina di storia planetaria che stiamo vivendo, segnata dalla pervasiva vocazione dei governi e dei loro gruppi di potere di riferimento, al controllo politico-sanitario dei liberi cittadini e all’inaudita amputazione delle loro libertà, saremmo a buon punto. Una certezza, però, resta viva: Nulla regge all’infinito. Soprattutto se, alle imponderabili incognite del caos che fanno saltare anche i più collaudati e studiati meccanismi e piani di controllo sulla popolazione, arriva in soccorso l’impegno e l’azione di più di 10mila avvocati di tutto il mondo, compresi molti legali italiani, che non hanno dimenticato il valore della funzione difensiva come principale baluardo dei diritti e delle garanzie dei singoli e da mesi hanno impugnato il fioretto giuridico per sfidare la grande truffaldina narrazione dell’epidemia Covid-19 che ha consentito a molti governi di adottare provvedimenti incompatibili con la tutela dei diritti naturali. Una valanga che in Italia a ritmi sempre più incalzanti, sta approdando anche nelle sedi giuridiche internazionali, non soltanto nei tribunali nazionali dove molte cause contro gli effetti liberticidi della decretazione d’urgenza prima di Conte e poi di Draghi sono state vinte sebbene le sentenze dei singoli tribunali si limitino spesso a rappresentare soltanto un precedente interpretativo non facendo giurisprudenza.

Resta il fatto che la legge al momento è lo strumento più efficace contro la paura, il sentimento più redditizio della storia dell’uomo ed i cui automatismi, ben noti alla psicologia delle masse, hanno reso possibile da un anno e mezzo rappresentare a livello quasi mondiale il copione dell’emergenza Covid-19 con le sue omissioni e menzogne: sui numeri dei decessi effettivamente attribuibili al Covid-19, sui tamponi utilizzati in modo improprio, con cicli di amplificazione molto superiori a quelli dichiarati validi dalle maggiori istituzioni sanitarie europee, come strumento diagnostico sugli asintomatici, sulla vera natura del virus, sull’esistenza di cure precoci domiciliari con cui medici che non hanno dimenticato i cardini del giuramento di Ippocrate guarendo a casa migliaia di malati ed evitando loro di finire nelle terapie intensive come al contrario è troppo spesso accaduto per colpa della “vigile attesa e tachipirina” imposta dalle linee guida elaborate congiuntamente dal ministero della Salute e dall’Aifa. Una mole di informazioni e di aspetti dell’emergenza dell’epidemia da Covid-19, insomma, su cui si è ossessivamente esercitata una falsificazione informativa ed un’azione censoria che ha tacitato chiunque nel mondo scientifico abbia tentato di introdurre un confronto dialettico e pluralista che rischiasse di incrinare la narrazione e la legittimità delle false “verità” sanitarie su cui sono state prese tutte le devastanti decisioni politiche che hanno smantellato buona parte dell’economia e dei diritti nel nostro Paese negli ultimi 18 mesi.

A quanto pare sono in molti tra coloro che rivestono la funzione difensiva a ricordarsi che l’Italia è la culla del diritto. Tanto da imprimere un’accelerazione alla sfida di individuare e accertare profili di violazione dei diritti umani attraverso denunce contro le misure anti Covid adottate da Palazzo Chigi e la cui retorica propedeutica per le masse è regolarmente affidata agli stentorei interventi dei virologi e infettivologi da salotto in perenne collegamento nei principali contenitori televisivi. L’impegno di chi presidia le libertà ed i diritti dei singoli è particolarmente agguerrito nel nostro Paese a causa di una costante non soltanto sospetta ma che arriva a tradire del dolo. Ed è perciò un’aggravante rispetto a quanto avviene in altri Paesi europei. La mole di provvedimenti legati all’epidemia varati dal governo infatti nel migliore dei casi non recepisce delibere e regolamenti del Consiglio d’Europa se non è addirittura letteralmente in contrasto con il diritto europeo e le sue normative Ue che sono sempre prevalenti su quelle nazionali. Una rivoluzione legale i cui passaggi vanno seguiti e compresi con ordine.

A cominciare dall’ultima circostanza, molto grave nelle sue implicazioni, di cui si è accorto l’avvocato Giulio Marini, che l’ha segnalata sia alla Commissione europea sia al Consiglio d’Europa, di una grave omissione fatta all’interno della traduzione italiana del regolamento sul certificato Eu 2021/953, il Green pass, steso dallo stesso Consiglio d’Europa. Mentre nella stesura originale in inglese vi è stabilita “la necessità di non discriminare per l’esercizio della libera circolazione di chi non si è vaccinato sia per motivi medici o perché non rientra nel gruppo dei destinatari per cui il vaccino è somministrato, come i bambini, sia per chi non ha avuto ancora l’opportunità di vaccinarsi o perché ha scelto di non vaccinarsi”, nella traduzione italiana una manina ha eliminato il riferimento alla categoria di chi non ha voluto vaccinarsi come persone che non devono essere discriminate. Il refuso dietro al quale è difficile non individuare del dolo, è di cruciale importanza chiamando in causa la libertà e i diritti del singolo di non vedersi, appunto, discriminato anche se la mancata vaccinazione dipende da una sua libera scelta e decisione. Omissione, comunque, segnalata e necessariamente corretta dall’ufficio traduzioni della Commissione europea. Il fuoco di sbarramento contro l’illegalità del Green pass punta però soprattutto l’omogeneità del testo italiano alla norma sovranazionale. In sostanza il governo Draghi avrebbe varato provvedimenti letteralmente in contrasto con il diritto europeo con delibere e regolamenti del Consiglio d’Europa. Provvedimenti che non possono coesistere con la normativa europea, sempre prevalente su quella nazionale, perché non la recepiscono.

È ciò che accade anche al Green pass il cui uso improprio in Italia è già stato segnalato da un legale della Corte penale europea dell’Aja a cui si è affiancato un altro collega, di cui si preferisce non fare il nome, sia alla Commissione europea sia al Consiglio europeo. L’uso improprio del Green pass, infatti, dipenderebbe da una grave deroga all’articolo 13.3 del Regolamento europeo 953/21 con abuso di atto tecnicamente amministrativo. “Il rischio che il decreto del 17 giugno 2021 destinato ad adottare il regolamento europeo, sia un abuso – spiega il legale dell’Aja – è reale per via dei diversi punti non compatibili con la fonte europea. Nel decreto legge convertito in legge si prevede che alcune aree specifiche, eventi e cerimonie possano essere accessibili soltanto con il certificato verde europeo, il cui scopo, però è unicamente quello di facilitare il diritto di libertà nei movimenti all’interno dell’Ue. Scopi ed usi diversi da quelli contenuti nel certificato europeo non dovrebbero esse permessi. Ora pretendere con atto di legge nazionale di chiedere un certificato Ue per un matrimonio oltrepassa l’obiettivo del Regolamento allargandolo illecitamente”.

I profili di illegittimità non finirebbero però qui poiché “il Green pass italiano introduce nell’articolo 13 del Dpcm un numero addizionale di soggetti titolati a richiedere il certificato come manager di eventi, proprietari di location e in genere privati cittadini che in alcun modo sono compresi nella disposizione dell’articolo 953/ 21 e per scopi diversi da quelli del regolamento europeo”. Insomma, l’aggiunta della lista di persone autorizzate a chiedere il certificato è contro l’articolo 10.30 del Regolamento europeo che in merito parla molto chiaramente. Non solo: “Il legislatore italiano – continua l’avvocato –  ha introdotto un regime di condivisione dei dati illegale permettendo a persone non titolate dal regolamento europeo di gestire informazioni che espongono tali soggetti a rischio di responsabilità penali”. Tra le varie dimenticanze ed omissioni che il Covid ha portato con sé c’è con tutta evidenza quella che la normativa europea è sempre prevalente su quella nazionale. Ma è esattamente sul presupposto di questa gerarchia delle fonti giuridiche che si sta muovendo quel settore della giustizia italiana in cui ancora qualcuno ricorda l’importanza del proprio ruolo per il ripristino delle libertà calpestate e dei diritti ignorati. Non resta che augurare loro davvero buon lavoro, nella speranza che le singole azioni legali, pur marciando su binari separati, riescano presto a ricostruire e smantellare la rete di complessiva illegalità dei provvedimenti che hanno distrutto alcuni settori della produttività italiana attraverso limitazioni delle libertà, lockdown e coprifuoco al di fuori di ogni logica e presupposto scientifico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Aggiornato il 11 luglio 2021 alle ore 20:14