Il Parlamento fermi questo scandaloso spreco di denaro pubblico per le buone uscite dei manager di aziende pubbliche e partecipate.
In tempi in cui a tutti gli italiani si chiede di stringere la cinghia e sopportare ulteriori sacrifici a causa delle ripercussioni del Covid-19, ma a dirla tutta, soprattutto, a causa del Governo, che invece di pensare ad un decreto snello di rilancio dell’Italia, si è calato nel ruolo di “azzeccagarbugli” emanando un decretone dove vi ha infilato di tutto, proprio di tutto, anche cose che con l’interesse dei cittadini italiani nulla hanno a che fare. Invece, perché non cercare di recuperare il denaro necessario, al fabbisogno dello Stato, anche attraverso il non spreco? Perché non cercare, anche, attraverso i rientri delle liquidazioni, o buone uscite, erogati ai manager di Stato decaduti dalla loro nomina, magari in anticipo, e poi richiamati a ricoprire incarichi in aziende similari? Negli ultimi anni abbiamo assistito passivamente, con buona pace di tutti, a un’anomalia che con il passare del tempo si è consolidata come prassi pesando sulle tasche dello Stato e quindi degli italiani. L’anomalia, del resto tutta italiana, è quella del conferimento d’incarichi come quella di presidente, amministratore delegato o comunque di membro del Consiglio d’amministrazione, che poi con lauti compensi (spesso centinaia di migliaia di euro a testa e talvolta milioni), viene a essere esonerato prima del completamento del proprio mandato.
Alcune di queste volte per il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati, altre ancor peggio, per l’evidente riscontro di una mancata strategia o immobilismo aziendale, portando in altri casi ancora, la stessa azienda, a compiere anche degli sprechi aziendali, e che per giunta, viene poi ad essere richiamato a ricoprire incarichi analoghi altrove. Per non parlare di quei casi, invece, in cui alcuni manager fuoriescono dall’azienda approfittando di uno scivolo, per poi ritrovarli piazzati in altre aziende simili o dell’indotto. Tutto ciò avviene, molte volte, nella totale inconsapevolezza degli italiani, ma il silenzio in questi casi la fa da padrone, come dire tanto nessuno ci guarda e quindi non lo si viene a sapere. Direbbe il principe della risata Totò: “Oh perbacco!” Sarebbe da aggiungere: Ahimè, purtroppo vero!” Un Parlamento attento, che agli sprechi dovrebbe dare battaglia, dovrebbe porre la giusta rilevanza anche a questi episodi di malcostume istituzionalizzato, persino pensando ad un intervento drastico affinché questa dissolutezza cessi di esistere. Allora probabilmente il cittadino italiano, anche da queste piccole cose, piccoli segnali, si sentirebbe confortato nel sopportare qualche sacrificio in più, sapendo che si sta attuando una linea di rigore che vale per tutti, con una vera lotta allo sperpero di denaro pubblico. Difatti non si può chiedere agli italiani, come in questo periodo responsabilità, tra l’altro da costoro ampiamente dimostrata e dall’altro lato, quello istituzionale non dimostrarla.
Detto ciò, perché non pensare a un provvedimento semplice semplice, punto cardine di esso una piccola norma con cui si stabilisce che chi rientra nel caso citato, anche se in carica, non possa tornare a ricoprire incarichi nel board della stessa società da cui è stato rimosso, salvo che non restituisca la liquidazione percepita? E sì, perché delle due, una, o gli organi preposti alla nomina hanno commesso un errore di valutazione all’atto della rimozione o l’errore è stato commesso da chi è stato chiamato a ricoprire quell’incarico, e per questo non lo si può premiare due volte. Come dire, oltre il danno anche la beffa! Anche questo è modo per far cassa, solo che in questo caso la si fa a ragion veduta. Quindi cari parlamentari fate qualcosa in questo senso, magari verificando quanti di questi casi, in sordina, vi siano anche in futuro e che possono contribuire, se non al concorrenziale andamento dell’azienda, in cui sono al vertice, almeno al risanamento della tesoreria dello Stato.
Aggiornato il 27 maggio 2020 alle ore 15:31