Renzi, il solito furbacchione

Matteo Renzi, ovvero colui che, non molti anni fa, aveva quasi tutto ed è rimasto con poco. Dalla presidenza del Consiglio e dalla segreteria del Partito democratico, quest’ultima esercitata con un’opposizione interna all’epoca assai debole, è passato a dirigere la piccola Italia viva, che, stando almeno ai sondaggi, fatica a rimanere persino sul 3 per cento dei consensi. Il Referendum del 2016, decisamente infausto per l’allora Rottamatore, trasformò in maniera definitiva quel giovane leader, il quale era riuscito a diventare in fretta il principale protagonista della politica italiana, in uno dei tanti attori, medi e spesso mediocri, del teatrino nazionale. Renzi ha dimostrato varie volte di possedere fiuto e scaltrezza, ma ha svelato inoltre di essere vittima di un eccesso di sicurezza. I cacadubbi non fanno molta strada, ma chi pensa di essere più infallibile dell’Onnipotente rischia di andare a sbattere. Il leader di Italia viva riesce comunque a non scomparire del tutto grazie ad una certa dose di audacia e tempismo, utili, se non al bene generale del Paese, almeno alla sua sopravvivenza politica.

Il referendum di quasi quattro anni fa poteva comportare l’oblio per la figura politica di Matteo Renzi, ma il “Bomba” di Rignano sull’Arno è riuscito abilmente ad infilarsi nella crisi dell’agosto scorso del Conte 1, per divenire poi uno fra i principali sponsor del Conte 2 o bis. Renzi è tornato in qualche modo a contare e ad essere determinante per la vita di un governo. Persino le pietre sanno che se i parlamentari di Iv dovessero ritirare il loro appoggio a questo esecutivo, Giuseppe Conte tornerebbe a fare l’avvocato, non più del popolo, bensì di qualche cliente, speriamo per lui, pagante. L’ex-boy scout si diverte inoltre a tenere costantemente sulla graticola il premier e gli alleati giallo-rossi, dai quali tende a distinguersi in modo frequente per rimarcare, o almeno per tentare di farlo, che Italia viva è un’altra cosa rispetto a Pd e M5s. Talvolta sembra di avere a che fare con un leader di opposizione. Alla base dell’abbandono del Partito democratico da parte di Renzi e dei renziani, e della conseguente costituzione di Italia viva, vi è sempre stato l’obiettivo di strizzare l’occhio all’elettorato moderato, anche di centrodestra, magari orfano di una Forza Italia ridimensionata e non convinto al cento per cento di cedere alle lusinghe di Matteo Salvini e Giorgia Meloni. Bisogna tuttavia segnalare come proprio il partito di Silvio Berlusconi, pur con tutti i suoi problemi, venga visto veleggiare dai sondaggi su percentuali più alte di quelle che riesce a racimolare Italia viva.

L’Opa renziana non pare essere ancora fattibile, ma l’ex-Rottamatore è un tipo sicuro di sé ed è così temerario da spingersi addirittura ad abbracciare valori liberali, come sbandierato durante l’ultima Leopolda, e da spingere la fedelissima Maria Elena Boschi a sottolineare di essere uscita dal Pd perché stanca di un partito che pensa solo a come tassare sempre di più gli italiani. Premesso che il diritto di cambiare idea spetti a tutti, Renzi e Boschi inclusi, diventa complicato credere alla conversione al liberalismo di un personaggio politico che nasce nel Ppi e ne la Margherita, ovvero in quel cattolicesimo democratico sempre succube della sinistra, e ben lieto di esserlo, fautore della peggiore mentalità statalista ed assistenzialista. I liberali e gli spaesati di centrodestra non si facciano infinocchiare dal sedicente liberale Renzi, anche quando afferma qualcosa di condivisibile. Per esempio, non gli si può dare torto nel momento in cui attacca Conte per l’abuso dei famigerati Dpcm, oppure se si schiera per un approccio di buonsenso circa la ripartenza del Paese dopo l’emergenza del Coronavirus.

Vale a dire un’azione ispirata senz’altro, non potrebbe essere altrimenti, ad un livello di guardia ancora alto dal punto di vista sanitario, ma non stupidamente punitiva verso chi vuole provare a riprendersi un po’ di libertà, senza danneggiare il prossimo, e a riaccendere la propria attività economica. Il sospetto più che fondato è che Matteo Renzi agiti determinate questioni motivato soltanto dall’interesse di occupare il dibattito politico, di apparire il più possibile e di difendere i confini della propria fetta di potere, non passandogli nemmeno per l’anticamera del cervello l’idea di tenere davvero duro sugli interrogativi da lui spesso sollevati, anche a costo di far cadere il governo. Il suo è un tira e molla di folliniana memoria. La politica contemporanea è sovente più apparenza, in televisione e sui social, che sostanza, quindi apparire poco significa essere sconfitti in partenza, e il nostro furbacchione, senza dubbio consapevole dei sondaggi poco lusinghieri per la sua Italia viva, deve aver compreso la necessità di alzare la posta di tanto in tanto evitando tuttavia di rompere in maniera irreparabile.

Prima dell’esplosione in Italia del Covid-19, Renzi si trovava già occupato nel minare ogni giorno il cammino del Conte bis attraverso la grana della prescrizione, (a tale riguardo altra posizione sensata, ma con secondi fini poco limpidi nello stile tipico del “Bomba”), poi lo tsunami sanitario ed economico ha messo il silenziatore sui dolori di pancia renziani. Oggi dalle parti di Iv si sta correndo non a caso ai ripari, tentando di recuperare il tempo perduto, ed infatti anche la stessa minaccia di dimissioni da parte della titolare renziana delle Politiche agricole Teresa Bellanova, circa la regolarizzazione dei braccianti stranieri, si è rivelata uno sparo a salve.

Aggiornato il 11 maggio 2020 alle ore 11:49