Il governo ha pensato solo a garantire sé stesso, andando contro i cittadini e le imprese. Questo va detto senza mezzi termini e senza ipocrisie. Tutto il peso di questa crisi lo sosterranno loro senza paracadute economico.
È pessimo per un commentatore che scrive augurarsi di avere torto per il bene della propria nazione, scoprire di essere stato profeta di sventure peggiori di quelle che aveva previsto. Questo è ciò che si prova dopo aver scritto l’articolo di ieri (Il Decreto fuffa per gli aiuti alle imprese) e aver avuto la conferma che il decreto, successivamente pubblicato, non è per niente migliorativo rispetto alla bozza, ma è l’epifania dell’impostazione burocratica di questo governo. È anche inutile riportare i passaggi più salienti del decreto, perché lo si è già fatto ieri e sono lì, sempre gli stessi, con la sola aggiunta (ma c’era anche questa nella bozza) data dal fatto che per attivare questa macchina così inutilmente complicata ci vorrà anche l’autorizzazione dell’Europa.
E allora, campa cavallo! Chi non camperà saranno quei cittadini, costretti, entro fine maggio, a versare allo Stato complessivamente 40 miliardi di euro di tributi, mentre in gran parte non stanno lavorando, non stanno guadagnando, faticano ad arrivare a fine mese, e hanno come unica prospettiva quella di non riaprire più la loro impresa. Perché nel decreto c’è proprio questo, chi era in difficoltà entro il 31 dicembre dell’anno scorso e chi alla data del 29 febbraio aveva esposizioni deteriorate nei confronti del sistema bancario, non avrà la possibilità di accedere al credito, e gli altri, a determinate condizioni potranno, previa istruttoria bancaria e altri adempimenti che fanno capire o prefigurare, già da adesso, che la strada sarà accidentata e, soprattutto, lunga, molto lunga. Un po’ come dire, avete diritto al medico solo se siete sani e se siete malati non rompete le scatole. Mentre qui serve velocità, molta velocità.
La stessa che servirebbe a quella parte di cassintegrati che ancora non ricevono la cassa, peraltro ridotta, senza alcuna colpa, rispetto allo stipendio e spesso molto sotto il fabbisogno mensile effettivo, agli autonomi che ancora non ricevono i 600 euro e che hanno gli stessi problemi di sopravvivenza e anche, non va celato, a tutti quelli che per necessità, e non per volontaria devianza, sono costretti ad una vita di espedienti e di lavoro in nero, perché quello è l’unico mercato del lavoro che gli è stato prospettato o che sono in grado di intercettare, serve velocità, perché come hanno fatto notare molti sindaci delle aree meridionali, dove il fenomeno è drammaticamente quotidiano, le mafie non hanno burocrazie, sono rapide e il governo se le vuole battere deve essere altrettanto rapido. Ma prima di tutto, lo Stato, ci deve almeno essere. Questo se ha interesse a non perdere quei cittadini, ammesso che li consideri tali, per non farli finire in un tunnel di ricatti e violenza o nel mercato del lavoro della criminalità organizzata in via definitiva.
Dove non funziona l’economia, dove non c’è sviluppo, dove le aziende chiudono, nella maggior parte dei casi è questo il destino. Questa volta molte chiuderanno anche per colpa dell’attuale governo. Ecco la mancanza totale del patto sociale e di rappresentanza. Figuriamoci se volessimo invocare il “No taxation without representation” della “Bill of Rights” inglese del 1689. Figuriamoci, noi siamo in Italia ed è appena il 2020. Stiamo assistendo pressoché inermi alla manifestazione plastica di un processo iniziato alcuni anni fa, la perdita di rappresentanza politica, di cui l’elettorato è il principale, per quanto inconsapevole, responsabile ed al completo stravolgimento del rapporto fra cittadino e Stato. Il governo ha pensato solo a garantire sé stesso, andando contro i cittadini e le imprese, questo va detto senza mezzi termini e senza ipocrisie. Tutto il peso di questa crisi lo sosterranno loro, i cittadini e le imprese senza paracadute economico.
Ma non possiamo considerarci più nemmeno cittadini, perché per esserlo occorre che sia in vigore un patto sociale, che è evidentemente saltato, un luogo di rappresentanza vera, il Parlamento, con poteri effettivi di verifica e voto sulla sussistenza dello stato di emergenza, che invece è da tempo ridotto ad una entità di tipo consultivo, con deputati declassati ormai a grilli parlanti privi di alcun potere, opposizioni che propongono e quasi urlano istanze di modifica e offrono collaborazione ai partiti di maggioranza che compatta a parole accetta, ma nei fatti la rifiutano, salvo pochissime voci subito rintuzzate e affogate, nel salvare la loro poltrona ancora per un po’ di tempo. Un quadro davvero desolante. Siamo sudditi al servizio di uno governo fallito. Di un governo che non chiede nemmeno “oro alla Patria”, ma soldi per le casse dell’erario, per pagare i propri elettori diretti, per continuare ad occupare posizioni ormai difese con elmetto, filo spinato e sacchi di sabbia.
E se i soldi non li avete, dice indebitatevi. Perché se non vi indebitate, ammesso che possiate, i soldi lo Stato se li verrà a prendere. E se dopo esservi indebitati non li restituirete, lo Stato se li verrà a prendere lo stesso. Davvero non c’era altra soluzione? Infognati nel dilemma Mes si, Mes no, non si tiene nemmeno conto del Pepp, (Pandemic Emergency Purchase Programme) della Bce, e si continua a dichiarare con più o meno maschio vigore italico un “facciamo da soli” di cui si continua a non conoscere i contenuti ed i limiti, mentre molte aziende e famiglie scivolano verso un futuro certo di miseria. Si può ancora parlare di tutto questo? Ma se ne può ancora parlare nella sede appropriata, il Parlamento?
Si può colmare la voragine lasciata dall’articolo 24 del Decreto legislativo n° 1 del 2018, “Codice della Protezione civile”, che consente, al Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio, sia il potere di deliberare lo stato emergenza, che il potere di definirne la durata, senza alcun contradditorio o potere di interdizione da parte del Parlamento, come si è già segnalato in un precedente articolo (“Stato di Emergenza, un sistema senza contrappesi”)? Si può ridare potere alla rappresentanza politica in materia economica almeno nei casi che riguardano l’intero tessuto sociale e produttivo come quelli dell’emergenza che stiamo vivendo? Se non tanto, si potrebbe almeno evitare, per delicatezza verso i cittadini (pardon: sudditi) di mandarli al macello con voto di fiducia, come fatto da questo governo per approvare un decreto con un nome degno di George Orwell, il “Cura Italia”?
Aggiornato il 10 aprile 2020 alle ore 12:10