Con il covid-19 una crisi senza responsabilità politiche

Perché non nominare una commissione eterogena, includendo componenti del mondo industriale, della logistica, della programmazione aziendale, attori che avrebbero potuto dare il loro contributo ad una gestione più consapevole e integrata di un problema così complesso?

Quando il Comitato tecnico scientifico per l’emergenza fu istituito era il 2 febbraio scorso e non se ne accorse nessuno, perché tutta la questione Covid-19 era nell’ombra, fuori dai radar della stampa e per settimane si negò, da parte di chi avrebbe dovuto proteggere i cittadini, la gravità del problema. Si costituì però un Comitato. È un’attività che in Italia piace molto, non si sa che fare e allora fioccano comitati di saggi, commissioni parlamentari, cabine di regia, think tank di varia natura e obiettivi.

Il nostro, alla data iniziale, era composto, oltre che dal commissario per l’emergenza Coronavirus Angelo Borrelli, commercialista e revisore dei conti, dal segretario generale del ministero della Salute, dal direttore generale della Prevenzione sanitaria del ministero della Salute, dal direttore dell’ufficio di coordinamento degli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera del ministero della Salute, dal direttore scientifico dell’Istituto nazionale per le malattie infettive “Lazzaro Spallanzani”, dal presidente dell’Istituto superiore di sanità, un componente della commissione salute indicato dal presidente della Conferenza delle Regioni e Provincie Autonome e dal coordinatore dell’Ufficio promozione e integrazione del servizio nazionale della Protezione civile, con compiti di coordinamento.

A questi si è poi aggiunto Walter Ricciardi dell’Oms, poi mistero. Una composizione questa a dir poco omogenea e, alla verifica dei fatti, anche ridondante, dove curiosamente l’unico portatore di un punto di vista diverso da quello sanitario sembra essere il commercialista Borrelli, che, tuttavia, come tutti possiamo vedere su “tele paura” ogni pomeriggio alle 18 è totalmente schiacciato dalle opinioni degli altri. Si può riassumere parafrasando un vecchio proverbio, “nomina una commissione di idraulici ed otterrai che il problema sono i tubi”. E infatti così si è proceduto e, a quanto pare, si continua a procedere. Il Comitato, a tutt’oggi, è in riunione col governo per traguardare la nuova data cruciale e visto che in precedenza era stata indicata la data del prossimo 13 aprile, adesso, a parte qualche riapertura del settore manifatturiero che viene salutata da molti con positività anche se si ritiene insufficiente, già si parla del 2 maggio.

Non è ancora dato sapere a quali conclusioni perverranno, ma date a parte, quello a cui stiamo assistendo tutti noi è un rivolgimento di 180 gradi da parte dei signori del “Vaffa Day”, “dell’uno vale uno”, se non ricordo male, quelli che ce l’avevano con gli “esperti”, i “tecnici”, i “professoroni”, oggi tutti appesi, come fanciulli impauriti, alle gonne delle mamme perché adesso c’è l’orco cattivo e non si sa mai. Ma l’orco non è il virus che potrebbe colpire la popolazione, i cittadini, no, si tratta dell’incubo che qualcuno possa accusare loro al governo di aver causato dei morti e quei morti pesino, non tanto sulle loro coscienze, quanto sui sondaggi presenti e i loro flussi elettorali futuri.

Così anche lunedì sera si è assistito a Giuseppe Conte, mister conferenza stampa, il premier che davanti ad una precisa domanda (una delle poche vere domande in queste curiose conferenze stampa) della giornalista Veronica Di Benedetto Montaccini sui casi Alzano e Nembro, seguiti da un’inchiesta di Francesca Nava su TPI, ha risposto in modo tale da scaricare sul presidente della Lombardia Attilio Fontana eventuali omissioni decisionali, facendo riferimento, per le sue decisioni dirette, alle indicazioni del Comitato scientifico, agendo in “scienza e coscienza”, dove sulla parte “coscienza” si è preso le sue responsabilità con sé stesso, mentre per la parte “scienza” si è rivolto, appunto, al Comitato. Si è passato dal no ai tecnici, all’utilizzo dei tecnici come scarico di responsabilità. E si è scelto come criterio esclusivamente quello medico.

E cosa può dire un medico davanti ad una patologia sulla quale è temporaneamente privo di strumenti di cura? Può dire solo di fermare tutto. Perché il medico, per giuramento, deve curare, non causare morti. Quando ti fratturi un piede il medico ti dice di fermarti, riposo assoluto. E se gli dici che devi lavorare lo stesso, perché sei un autonomo e devi portare avanti la tua famiglia, i tuoi figli, il medico non ti potrà ascoltare se non per cortesia personale o empatia, non cambierà affatto la sua prognosi, non lo potrà fare, perché il suo ruolo è un altro. Ma, come stiamo vivendo tutti assieme questa tragedia, una pandemia come questa tocca aspetti molto complessi e le decisioni draconiane, apparentemente le più sagge, lo sono solo nel breve periodo, perché a lungo andare si possono trasformare in una crisi economica con conseguenze peggiori, anche dal punto di vista sanitario, del male che vorrebbero curare, anche se perfettamente rispondenti al criterio di non nuocere, tali decisioni, a chi le prende formalmente. Profondamente diverso sarebbe stato nominare una commissione eterogena, includendo componenti del mondo industriale, della logistica, della programmazione aziendale, attori che avrebbero potuto dare il loro contributo ad una gestione più consapevole e integrata di un problema così complesso.

Si è scelto di non farlo, non è una distrazione. E una scelta consapevole, perché questa alternativa li avrebbe costretti ad assumere delle responsabilità politiche e forse anche penali (ma come, Matteo Salvini può essere perseguito penalmente, gli altri no?). Si è scelto di non scegliere e adesso siamo di fronte alla più grande delega politica mai vista data a dei tecnici. La nostra vita quotidiana non è altro che una consapevole scelta di gradi di rischio. Ogni volta che prendiamo un ascensore o le scale, attraversiamo una strada, prendiamo un autobus, o un aereo, o guidiamo la macchina, ci confrontiamo con gradi di rischio che costituiscono il complemento ai nostri gradi di libertà.

E già la libertà, infatti. Quella che ci hanno levato per il nostro bene, ma senza pensare realmente al nostro futuro. Spostando non solo sui tecnici, ma anche sui singoli cittadini, ridotti prevalentemente a potenziali untori a tempo indeterminato (niente tamponi a tappeto, niente verifiche, solo decisioni al buio), la responsabilità ultima e definitiva se l’unica decisione che hanno saputo prendere, il blocco, dovesse fallire. Ma se è questa la loro capacità politica, le dimissioni, in seguito, sarebbero l’unico esito dignitoso.

Aggiornato il 08 aprile 2020 alle ore 11:19