Stato di emergenza, un sistema senza contrappesi

L’articolo 24 del Decreto legislativo n° 1 del 2018, “Codice della Protezione civile”, consente al Consiglio dei ministri, su proposta di Giuseppe Conte, sia il potere di deliberare lo stato di emergenza, che il potere di definirne la durata, senza alcun contradditorio. Questo, con tutte le conseguenze sulla libertà dei singoli e sulla libertà di impresa che stiamo vivendo e sulle quali rischiamo di perdere per sempre la nostra libertà economica, che è anche libertà dei singoli.

Il tormentone quotidiano secondo cui occorre essere tutti uniti attorno al governo che combatte eroicamente contro il virus, l’Europa e i cittadini disobbedienti che continuano ad uscire violando i loro arresti domiciliari, decretati per il loro bene, comincia a suscitare qualche riflessione, oltre a qualche incazzatura, sulle modalità in cui si realizza tutto questo. Cominciamo pure col dire che, se stiamo alle statistiche (solo il 3 per cento circa delle persone controllate riceve una sanzione), il popolo italiano (considerato che molti non escono affatto da casa), si sta mostrando più che accondiscendente alle prescrizioni del governo. Anzi, per dirla tutta, non risultano episodi di così grande disciplina su altre materie o in altre epoche, a parte episodi locali e di divertente spettacolarizzazione del problema da parte di alcuni sindaci che hanno trovato il loro sistema per rendersi popolari anche oltre i propri confini, con sparate assurde, per cui sarebbe il caso di tributare un plauso ai cittadini italiani, rendere loro un profondo ringraziamento per la pazienza e la disciplina, invece di continui tormenti da tele paura, ogni sera, in onda alle 18 su alcune reti televisive.

Sarebbe gradito, ma non accadrà, perché la paura è elemento essenziale, oltre che per convincere la gente a proteggersi, messaggio importante, ma che allo stesso tempo serve a celare il motivo del proseguimento in questa situazione in cui nessuno dà un segnale di ripartenza, una decisione ormai urgente per far ripartire la nazione, ma che non è esente da controversie, che il governo non sembra disposto a gestire, anche a costo di far fallire il tessuto economico italiano, per poi far rivolgere lo sguardo di tutti verso la cattiva matrigna Europa. Tutti allineati e coperti, intanto nessuna decisione. C’è, tuttavia, in questa accondiscendenza di una parte degli italiani, qualcosa di inquietante, che, si vorrebbe errare, ma sembra andare oltre il pericolo concreto del virus. E questo “qualcosa” è dato dalla sequenza di atti che hanno portato con poche mosse a questa situazione che non è fatta solo da pericolo vero o percepito, disciplina o indisciplina, solidarietà o egoismo, salute o economia, Europa o “facciamo da soli”, tutte dicotomie un po’ vere e molto false, su cui si è ricamato e si è fondato il format comunicativo sui cui siamo tutti, consapevolmente o no, finiti dentro.

No. Qui c’è di più, c’è un sistema istituzionale che sta mostrando tutti i suoi limiti, oltre che un certo torpore. Ritengo, sia utile, per massima chiarezza, evidenziare in pochi punti salienti quali siano gli atti che ci hanno portato fin qui:

1) il 6 febbraio 2018 entrava in vigore il Decreto legislativo n°1 del 2 gennaio 2018: “Codice della Protezione civile”;

2) all’articolo 24, il citato Codice, prevede che “al verificarsi degli eventi che presentano i requisiti dell’articolo 7 comma 1, lettera C (“Emergenze di rilievo nazionale connesse con eventi calamitosi di origine naturale o derivanti dall’attività dell’uomo che in ragione della loro intensità o estensione debbono, con immediatezza d’intervento, essere fronteggiate con mezzi e poteri straordinari da impiegare durante limitati e predefiniti periodi di tempo ai sensi dell’articolo 24, ndr), “il Consiglio dei ministri, su proposta del presidente del Consiglio dei ministri, formulata anche su richiesta del presidente della Regione o Provincia autonoma interessata e comunque acquisitane l’intesa, delibera lo stato d’emergenza di rilievo nazionale, fissandone la durata e determinandone l’estensione territoriale”;

3) nello stesso articolo 24 al comma 3, è riportata la durata dello stato di emergenza di rilievo nazionale: “non può superare i 12 mesi, ed è prorogabile per non più di 12 mesi” e al successivo comma 4 è scritto che: “eventuale revoca anticipata dello stato d’emergenza di rilievo nazionale è deliberata nel rispetto della procedura dettata per la delibera dello stato d’emergenza medesimo”: in pratica, inizio e conclusione, per un massimo di 24 mesi, sono decisi dallo stesso Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio;

4) il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei ministri deliberava la “Dichiarazione dello stato di emergenza in conseguenza del rischio sanitario connesso all’insorgenza di patologie derivanti da agenti virali trasmissibili”, cioè il decreto che, integrato con una serie di Decreto del presidente del Consiglio dei ministri “a cascata”, che qui non approfondiamo per brevità e perché non essenziali al nostro ragionamento, che hanno progressivamente limitato la libertà dei cittadini italiani, fino allo stato attuale.

Tralasciamo la mancanza di comunicazione iniziale, la sottovalutazione del fenomeno nonostante si fosse già dichiarato lo stato di emergenza, le misure inadeguate, la comunicazione falsamente rassicurante e la, conseguente, valanga di divieti e comunicazioni palesemente incompetenti, soprattutto nell’identificare e confinare i focolai iniziali (cosa che avrebbe consentito di non chiudere tutto), e nel produrre statistiche precise e utili per gestire veramente il fenomeno, di tutto questo abbiamo già scritto e inevitabilmente, con le notizie di orrori gestionali che purtroppo escono ogni giorno, ancora scriveremo. Qui sono da notare altri fattori. Il Parlamento è stato totalmente ignorato per almeno una ventina di giorni e, di fatto, lavora con modalità fortemente limitate dall’inizio di marzo, a voler essere generosi. L’opposizione ha più volte fatto presente il fatto i voler essere coinvolta, nelle forme parlamentari, al fine di contribuire positivamente in questa fase di gestione del fenomeno in forma acuta.

L’appello non è stato di fatto accolto, il presidente del Consiglio ha parlato di “informativa” da dare alle opposizioni ogni 15 giorni. Abbiamo visto in questi giorni sedute parlamentari caratterizzate da informative di varia natura, fra cui quelle chieste al ministro degli Esteri sul complessivo mezzo miliardo di euro di aiuti che l’Italia ha pensato bene di mandare all’estero in questo momento di emergenza, ma lasciamo perdere. Quello che non abbiamo sentito, o lo abbiamo sentito troppo timidamente, è sapere fino a quando si protrarrà lo stato di emergenza. Su questo si genera quasi quotidianamente una confusione comunicativa, fatta di mezze parole, pseudo ragionamenti ad alta voce da parte del capo della Protezione civile, esperti di varia natura, taluni titolari di ruoli istituzionali, talaltri titolari di cattedre universitarie, ma legittimati da social e televisioni (decidono loro sulla nostra libertà?), in particolare trasmissioni della sinistra politicamente corretta, sostenute anche da giornalisti televisivamente corretti provenienti dalla stessa area politica.

Decidono loro sulla nostra libertà? E se la parola “sinistra” sostituissimo la parola “destra”, avremmo avuto la stessa benevolenza? Oppure si produrrebbe la reazione di illustri costituzionalisti, sempre pronti quando si forma all’orizzonte non dico la sagoma, ma anche solo l’ipotesi di un “uomo di destra”? Adesso l’uomo c’è, lo so che fa un po’ ridere, ma c’è ed è Conte, col suo fare mellifluo e felpato, la sua pochette, i capelli ben composti (forse ritinti e senza ricrescita), sempre pettinati a puntino, il suo argomentare vagamente roco e sofferente. Questo eroe proveniente dal nulla, che l’estate scorsa ha fustigato il mostro del Papeete che chiedeva “pieni poteri” (mal gliene incolse), i pieni poteri li ha davvero ottenuti, però lui, e con ben 24 mesi di orizzonte, grazie alle leggi. Orbene, non poniamo questioni di costituzionalità, altri più qualificati di potrebbero e dovrebbero farlo, ma di opportunità politica e di democrazia sì.

È evidente che nella normativa c’è un buco gigantesco, un crepaccio, un cratere, e come sopra indicato, nell’articolo 24 del Decreto legislativo n° 1 del 2018, “Codice della Protezione civile”, che consente, al Consiglio dei ministri su proposta del presidente del Consiglio, sia il potere di deliberare lo stato di emergenza, che il potere di definirne la durata, senza alcun contradditorio. E questo con tutte le conseguenze sulla libertà dei singoli e sulla libertà di impresa che stiamo vivendo e sulle quali rischiamo di perdere per sempre la nostra libertà economica, che è anche libertà dei singoli. Si sta chiedendo semplicemente che si affermi, colmando quella che a nostro avviso è una carenza imperdonabile, che il ruolo di controllare che sussistano i termini per uno stato di emergenza, siano attribuiti al voto parlamentare, correggendo questo “buco” presente nel Decreto legislativo n° 1 del 2018.

Che al Parlamento sia dato, con voto di maggioranza mensile o ogni quindici giorni, il ruolo di dichiarare, o meno, il persistere delle condizioni di emergenza. Questa è una riforma sostanziale e urgente. Un compito che dovrebbero darsi tutti, partiti di maggioranza e di opposizione. Solo così, e non a parole, dimostrerebbero di non inseguire scorciatoie dirigiste e antidemocratiche anche se riferite a periodi limitati, ma che possono potenzialmente durare fino a due anni, e per emergenze pubbliche. Lo devono fare, non solo per gestire meglio le stesse emergenze, ma per restituire ai cittadini la sovranità attraverso il Parlamento, che mai più deve essere messo in condizioni di mendicare incontri con il governo o con il suo presidente. Lo devono fare per restituire a tutti i cittadini italiani la Democrazia.

Aggiornato il 06 aprile 2020 alle ore 12:05