“Te lo dico da Nobel” ovvero Razzi e Kim Jong-un

Con il suo libro Te lo dico da Nobel, Antonio Razzi (Graus Edizioni, novembre 2019, 111 pagine, 18 euro) spiega che il suo scopo è quello di lavorare per la pace nel mondo. La Corea del Nord è di recente tornata alla ribalta per il dialogo che Donald Trump ha aperto nel tentativo di ricondurla a rapporti pacifici nella comunità internazionale. Un tentativo difficile che, almeno per ora, non sembra concludersi positivamente: tuttavia, seppur con uno stop & go, un primo passo importante è stato fatto. Sin dal 2007 Antonio Razzi si è impegnato nel creare buoni rapporti tra l’Italia e la Corea del Nord, con le sue missioni di pace che continuano anche dopo la fine dell’attività senatoriale. Con la sua saggezza abruzzese, scrive delle sue missioni diplomatiche nel paese più comunista del mondo: “il notissimo Kim Jong-un. Il capo di tutto. Sono ormai un conoscitore piuttosto profondo del luogo e testimone di cambiamenti storici avvenuti laggiù. Ci sono stato tredici volte. Da qualche tempo le cose sono molto cambiate, in questo Paese. C’è più apertura, più fiducia, le città sembrano rifiorite è l’assenza di una cosa che prima non potevo non notare. Erano giganteschi, lunghissimi e minacciosi, e venivano fatti sfilare per primi. Oggi mancano”.

Ed è piuttosto rilevante, dato che questa ricorrenza è l’appuntamento principale del decennio. Parlo dei missili (al Rungrado May Day Stadium, in occasione della ricorrenza dei settant’anni della Repubblica Popolare Democratica di Corea). A suo avviso, infatti, un’operazione politica così complicata avrebbe meritato l’assegnazione del Nobel per la pace a Trump, Kim John-un e al presidente della Corea del Sud, Moon Jae-in. Nel ripercorrere, capitolo dopo capitolo, i suoi viaggi nella Corea del Nord, Razzi ci propone una nord corea angelicata, dove non si sente la sofferenza di un popolo oppresso da una durissima dittatura. L’autore si limita solo a sfiorare il tema del ferreo controllo del regime e solo nei confronti dei turisti (quando lui deve chiedere il permesso per fotografare una vigilessa e quando, giunto al 28esimo parallelo, al confine con la Corea del Sud, un componente del suo gruppo, imprudentemente, scatta alcune fotografie).

È un libro da leggere che, però, esclude le enormi sofferenze del popolo coreano, nonostante alcuni miglioramenti rispetto al passato: la sua è la nord Corea dei privilegiati e dei potenti. Non parla né dei dissidenti che, nei casi più fortunati, sono riusciti a fuggire all’estero, o sono costretti in campi per prigionieri politici, in campi di rieducazione e in campi di concentramento, né considera la società civile oppressa che non si lamenta e sopporta, solo perché “tiene famiglia”. Inoltre, non si può sottacere che gran parte dei nordcoreani sono denutriti (il rapporto Onu parla di 11 milioni di persone su una popolazione di 24 milioni), vivono in alloggi fatiscenti, manca spesso l’acqua e scarseggia l’elettricità (che nei rigidissimi inverni coreani significa soffrire terribilmente il freddo), lavorano duramente con pochi semplici attrezzi, l’accesso a internet è lentissimo e censurato e, poi, sono tenuti nell’assoluta ignoranza su quanto avviene nel mondo: le uniche notizie sono quelle imposte dal regime, una persona su 4 è al servizio della polizia segreta e la dimensione collettiva si sovrappone, fino ad annullare l’individuo.

Insomma, una dimensione tipica dei paesi comunisti che è del tutto assente nel libro di Razzi, ben scritto comunque, agile e veloce, tale da risultare di piacevole lettura. Sarebbe utile se nei suoi prossimi viaggi in Nord Corea, Razzi, facendo anche leva sugli ottimi rapporti che ha con i vertici del regime, spendesse qualche parola in favore delle libertà civili e che il suo prossimo libro possa essere dedicato alla società civile, oppressa di quel Paese.

Aggiornato il 29 gennaio 2020 alle ore 12:06