Abbiamo cercato a lungo un modo gentile per classificare le dichiarazioni del Presidente della Camera Roberto Fico – secondo il quale la festa del 2 giugno era dedicata a Rom, Sinti e migranti – ma non l’abbiamo travato. Omettiamo quindi di esprimerci per carità di Patria.

Allo stesso modo ci siamo impegnati per ore a cercare un razionale che potesse giustificare le uscite da scappata di casa della turista per caso a capo del Dicastero della Difesa – la signora peace and love che utilizza la Marina Militare come fosse una Ong – ma è stato tutto vano. Il malcontento dei vertici delle Forze Armate parla da solo.

Poi abbiamo ascoltato il penultimatum del professor Giuseppe Conte – il quale si è messo a fare baubau a reti unificate chiedendo all’oste se il vino fosse buono – e abbiamo cominciato a capire quanto si stia affannando in queste ore per evitare la figura dello spaventapasseri.

Contestualmente, Matteo Salvini – a valle delle formule distensive di rito sulla tenuta del Governo – è apparso per atti concludenti incalzante e poco disposto a mediare rispetto ai temi programmatici messi sul tavolo. A quest’ultimo ha fatto invece da contraltare un Luigi Di Maio particolarmente mite che si è detto “sicuro che si arriverà a una soluzione condivisa e di buon senso”.

E allora – ammennicoli retorici e dichiarazioni tattiche a parte – è ormai chiaro quanto l’effetto delle elezioni europee si stia dispiegando in tutta la sua poderosità innescando un braccio di ferro che vede il povero Luigi Di Maio impegnato su due fronti.

Il primo fronte è quello interno: Fico, Toninelli, Trenta e tutta l’ala sinistra del Movimento stanno provando a lucrare sul cadavere del povero Giggino capitalizzando il tonfo rimediato alle elezioni europee. Non potendo sperare in un ricambio democratico all’interno dei Pentastar, stante la persistente protezione assicurata dal clan Casaleggio & Grillo a Luigi Di Maio, cercano di minare con la tattica del disordine governativo e delle dichiarazioni al vetriolo la tenuta della maggioranza sperando nella morte politica per consunzione dell’attuale Capo del Movimento. E lo fanno puntando su uno spostamento dell’asse governativa verso il Partito Democratico. Il bibitaro, da parte sua, ostenta sicurezza cercando di mostrarsi disponibile verso l’alleato Lumbard per abbassare i rischi di tenuta del Governo e millantando il controllo di un Movimento diviso ormai in due tronconi.

Da parte sua, Matteo Salvini prova ad alzare la posta facendo quello che gli riesce meglio: l’intransigente interessato a realizzare le cose concrete che non riesce a concretizzare il programma per colpa degli altri (Europa, alleati di Governo, Soros, potentati, ecc). Se i partner cedessero e lo seguissero, potrebbe completare la sua Opa al Governo assumendone il controllo totale. Ma non è certamente lo scenario che preferisce vista la preoccupante situazione macroeconomica e la certezza di dover effettuare una impopolare manovra correttiva lacrime e sangue in autunno.

Se le cose andranno come devono, il Governo imploderà a causa delle lacerazioni interne al Movimento Cinque Stelle spaccandolo a tal punto da rendere impraticabile un’alleanza organica col Partito Democratico e spalancando la strada a nuove elezioni con annesso trionfo del centrodestra. Nel frattempo, un Governo di transizione si occuperà dei provvedimenti impopolari e l’Italia tornerà bipolare. Resta da capire come si collocherà il Movimento nel nuovo atlante della politica (probabilmente alleato con i Democratici).

E Giuseppe Conte? Il tapino è cosciente di non contare una mazza e prova a mettersi all’ombra del Quirinale cercando di fare ciò che è riuscito a pochissimi: l’uomo del Colle, la Riserva della Repubblica. E, nel caso di specie, più che riserva dovremmo parlare di un panchinaro della Repubblica. Un po’ come Crisantemi ne “L’allenatore nel pallone”.

Aggiornato il 05 giugno 2019 alle ore 10:51