Cesare Battisti, dopo un quarantennio di vacanza tra Francia e Brasile, è stato finalmente assicurato alla giustizia. Riteniamo che le tesi giustificazioniste di coloro i quali – come ad esempio Piero Sansonetti – avanzano dubbi sui processi, non stiano in piedi. Tale convinzione deriva dal fatto che la primula rossa in questione non si sia mai proclamata innocente (pare che due omicidi li abbia anche ammessi). Ci perdonino coloro i quali agitano la tesi cospirazionista riferendosi ai processi cui Cesare Battisti è stato sottoposto, ma proprio non riusciamo a vederlo come novello Enzo Tortora, come vittima cioè di un errore processuale o di una cricca di falsi pentiti mossi dall’intento di depistare le indagini. Non conosciamo, infatti, vittime della mala giustizia in grado di evadere da un carcere onde poi godere di coperture internazionali ad altissimi livelli per quattro decenni. Che questo signore non fosse un papavero dell’internazionale comunista dedito alla banda armata ma uno scrittore tra i più profondi e bravi dei nostri tempi (e per giunta perseguitato da uno Stato fascista) è tesi che possono sostenere giusto Vauro e Roberto Saviano, con annessa sinistra bobò. C’è una vistosa differenza tra l’ostentata strafottenza con cui Battisti ha vissuto sia la latitanza sia l’estradizione e il pavido silenzio con cui certi firmaioli degli appelli pro-Battisti non c’erano o se c’erano dormivano e quindi non avevano capito ciò che firmavano, ma avevano anche provato a ritirare la firma. Detto senza acrimonia alcuna, ci fanno sorridere certi radical chic che usano paroloni come giustizia, violenza a fini politici, rispetto della magistratura e menate simili come fossero l’elastico delle mutande se non proprio il tessuto scrotale.
Costoro appaiono, ormai, come la parodia di loro stessi con la risultante che, se a commettere l’atto terroristico è uno come Cesare Battisti, scatta prima il benevolo compiacimento per le gesta dei pistoleri che sbaglieranno pure ma combattono per nobili ideali, poi il soccorso rosso utile a favorirne la latitanza che lascia il posto al solito movimento intellettuale d’opinione utile a prolungare il soggiorno all’estero. Forti di una simile corazza mediatico-intellettuale, questi malviventi nel frattempo si reinventano (ripulendosi) uomini di cultura, saggisti, ricercatori, anime belle o paladini di cause nobili. Il tutto è prodromico alla creazione di una nuova vita che si svolgerà all’estero se tutto va bene o nel Belpaese se qualcosa dovesse andare storto. A Battisti è andata male perché ha perso le elezioni (le ha perse lui più che la sinistra brasiliana): se Lula e la sinistra massimalista non gli avessero fatto il brutto scherzo di schiantarsi politicamente, costui sarebbe ancora a sculettare indisturbato al Carnevale di Rio. Invece è stato impacchettato e consegnato agli italiani dalla Bolivia e da Bolsonaro (inutile la sceneggiata a reti unificate relativa all’arrivo del terrorista in Italia) e non rimarrà a lungo nelle patrie galere. Appena possibile – cioè non appena dovesse subentrare un governo amico – la solita compagnia dei miracoli (quella cioè che adesso tace perché in ritirata strategica) dipingerà un uomo profondamente cambiato, gravemente ammalato e desideroso di trasmettere alle nuove generazioni un messaggio valoriale alto, culturalmente eccelso, nell’intento di testimoniare luci e ombre del Sessantotto. Se le cose andranno come devono andare, tra qualche anno ce lo ritroveremo a fare il consulente in qualche Pubblica Amministrazione (o in Parlamento), a fare il conferenziere in qualche università o a fare l’editorialista nei giornaloni. Film già visto.
Aggiornato il 18 gennaio 2019 alle ore 18:19