Formare sovranisti, non populisti

Il sovranismo e il populismo sono culture solo in apparenza sovrapponibili. Sono tante le differenze tra questi due filoni di pensiero e di azione, ma a distinguerli è soprattutto la visione che hanno sulla formazione della classe dirigente. Il populismo predica la sovrapposizione tra il popolo e le élite. Chi è chiamato a decidere deve semplicemente applicare la volontà del popolo, che si presume monolitica, empirica, generale. Per questo, il populismo non ha bisogno di una vera classe dirigente: vi è in esso la presunzione di una perfetta coincidenza tra chi comanda e chi ubbidisce, fino a prefigurare l’abolizione della rappresentanza politica e dello stesso Parlamento. Anzi, quando è davvero ispirato, pretende perfino che i rappresentanti vengano scelti per sorteggio, che chiunque possa diventare parlamentare o ministro senza passare da percorsi selettivi, pur essendo evidente a tutti che non abbiamo una società paragonabile all’antica Grecia o alla Repubblica di Venezia. Nell’attuale scenario politico europeo e forse internazionale, il populismo più rigoroso è incarnato proprio dal Movimento 5 Stelle.

Il sovranismo, su questo punto cruciale della formazione della classe dirigente, deve esprimere tutt’altro indirizzo. Certo, la sua aspirazione è quella di recuperare la centralità del popolo e della nazione contro le derive tecnocratiche del potere, ma per realizzarla non può disdegnare i meccanismi della rappresentanza e la designazione di una dirigenza politica capace e responsabile. È lo stesso bene della nazione che lo richiede. Il sovranismo dovrebbe sentire come prioritaria questa missione: mettere i migliori e i più meritevoli in condizione di servire la nazione e il suo legittimo interesse. Esso crede ancora, nonostante tutto, che la politica sia un lavoro intellettuale, un beruf, una vocazione. E anche per questo ha il senso della storia, della tradizione, dell’appartenenza. Che oppone alla subcultura dello sradicamento, ancora per poco tempo dominante su scala planetaria.

Insomma, la formazione alla politica è una funzione essenziale per l’affermazione del sovranismo, o almeno di un sovranismo corretto dal realismo della cultura conservatrice, di un sovranismo come dovrebbe essere a destra, non velleitario, non di facciata. Del resto, per rappresentare al meglio l’interesse nazionale in un mondo così complesso come quello attuale, non si può fare gli alchimisti stregoni. Bisogna saper interpretare lo scenario interno ed esterno, sapere come attuarle certe trasformazioni, come guidarle. Se il populismo può permettersi di ricavare (a parole) l’ordine dal caos, il sovranismo deve dotarsi di un criterio ordinatore, che va quindi rigorosamente pensato e applicato. A partire dalla ricerca e dalla formazione. Sarà forse meno epico, ma noi crediamo nell’epica delle piccole cose.

(*) Fondazione FareFuturo

Aggiornato il 15 novembre 2018 alle ore 12:00