Il Pd ha perso per scimmiottare Emma Bonino

Su “Il Messaggero” e su “Il Mattino” del 26 giugno (ribadendo poi il tutto su “La Verità” del 27) Luca Ricolfi cerca di dare una risposta all’interrogativo che tutti ci poniamo, chiedendoci il perché e le ragioni della sconfitta, anzi della débâcle del Partito democratico.  Quella che il saggista ci fornisce − non nuova, da tempo la viene ripetendo − è drastica, fors’anche congegnata razionalmente, ma sostanzialmente sbagliata. Induce a battere piste, a seguire percorsi devianti, che non aiuteranno in alcun modo la ricerca, pur così, necessaria per dare avvio ad un processo di creazione e sviluppo di una opposizione credibile e forte.

Ad avviso di Ricolfi, la crisi e lo sfaldamento del Pd avrebbero dovuto verificarsi  addirittura molto prima. Le premesse del disastro erano da tempo visibili e inequivoche, e  il saggista si stupisce − ecco il succo del suo argomentare − che il voto popolare si sia abbattuto così tardi su un partito che ormai si era allontanato dalle sue ragioni di esistenza e si veniva caratterizzando sempre più come portatore piuttosto  di una cultura “elitaria”, lontana dalle esigenze della gente e identificabile − conclude  sbrigativamente il saggista − nel nome di Emma Bonino. Con le sue idee la leader radicale, assieme o senza Marco Pannella, non è mai riuscita a costruire un Partito radicale di massa. Mentre ultimamente il Pd si è sforzato di diventare un partito, appunto, radicale di massa, inevitabilmente perdente.

Secondo Ricolfi, infatti, specie nell’ultimo anno, il Pd avrebbe concentrato i suoi interessi culturali e le sue iniziative politiche attorno a temi tipici della cultura e della politica radicale, cioè i temi relativi ai diritti civili: il testamento biologico, la riforma carceraria, le unioni civili, il reato di tortura, lo ius soli e infine − nota sarcasticamente Ricolfi − l’Europa (“Ricordate − incalza il saggista − lo slogan? “Ci vuole più Europa”).  Ma questi, sbotta infine Ricolfi, non sono i temi “sociali” che dovrebbero caratterizzare un grande partito popolare realmente di massa. Reo di cotanti strafalcioni politici, il Pd dovrebbe addirittura rallegrarsi per non aver perso ancor più di quello che hanno detto le recenti elezioni amministrative. La cultura radicaleggiante del Pd e delle nostre sinistre non è nemmeno stata capace di dar ragione ai sentimenti di paura, di timore della gente sgomenta per l’afflusso incontrollato dei migranti in fuga dall’Africa. Sordo dinanzi al fenomeno, il Pd, in grazia della sua mutazione genetica, si è ostinato nel tentativo di convincere la gente che le sue paure erano infondate e anzi dovevano essere combattute; era ovvio che il consenso popolare si sarebbe rivolto altrove, verso chi quei timori giustificava (e magari fomentava).

Provenendo da una personalità nota piuttosto per le sue idee di stampo liberale, queste argomentazioni non possono che stupire. Stupisce, per esempio, che Ricolfi non avverta che la riforma carceraria e della giustizia trova le sue ragioni forse più evidenti e impressionanti nella sua incidenza sull’economia reale, così appesantita dal costo di un cattivo funzionamento dell’apparato giudiziario nel suo complesso da non riuscire più ad attirare capitali e imprese internazionali, scoraggiate da tanta inefficienza − ci si consenta − “strutturale”. Per non parlare delle distorsioni provocate dal rifiuto di riconoscere lo status di cittadino italiano a chi in Italia è nato o ha vissuto a lungo, e che in questa minorazione trova un impedimento all’integrazione, alla sicurezza esistenziale, alla ricerca di stabilità economica. No, per Ricolfi questi temi sono inutili vaghezze di una cultura radical chic, estranea ai veri bisogni della gente. Ugualmente inutile e distorcente, sempre secondo l’autorevole sociologo, l’appello Più Europa su cui Emma Bonino sta spendendo le sue energie. Come se l’insistente richiamo della leader radicale non sia invece l’appello alla definizione e al perseguimento di una politica economica adeguata a stimolare la crescita e a favorire un maggior benessere sociale, civile e umano, in un mondo che richiede di essere sempre più integrato, con il superamento dello Stato-Nazione.

È di comune consenso la consapevolezza che tra le cause fondamentali della scarsa crescita del Pil sia da porre la bassa redditività di una economia poco integrata e globalizzata, piuttosto asfittica e propensa ad un sovranismo scarsamente efficiente e a vocazione parastatale. Le cifre dello stallo italiano sono impressionanti. Nonostante la timida ripresa economica che ha caratterizzato gli ultimi anni, le persone che vivono in povertà assoluta in Italia hanno sfondato quota 5 milioni nel 2017. È il valore più alto registrato dall'Istat dall'inizio delle serie storiche, nel 2005. E tutto questo mentre non si riesce a risolvere questioni strutturali come l’Ilva o l’Alitalia e sempre più si guarda, come ancora di salvezza, ad una Cassa Depositi e Prestiti sempre più simile alla vecchia Iri. La verità è che il Pd, organicamente discendente da quel Pci che divenne divorzista solo quando fu chiaro che il consenso per il divorzio era maggioritario nel Paese, non ha mai amato i temi dei diritti civili. Quando ha consentito che passassero e crescessero, lo ha fatto con scelte e un linguaggio inadeguato, minimalista. È ovvio che il Paese non lo abbia sentito credibile e gli abbia voltato le spalle.

 

 

Aggiornato il 27 giugno 2018 alle ore 16:48