C’è troppa voglia di larghe intese

C’è puzza di bruciato in giro e, dietro le apparenze, la voglia di larghe intese è molto più che palpabile. Del resto, come non notare l’insistenza sull’ipotesi di non governabilità che quotidianamente sbandierano televisioni e giornali, specialmente alcuni.

È come se volessero fare una sorta di allenamento psicologico agli italiani per abituarli all’idea che in fondo la grossa coalizione sia il minore dei mali. Oltretutto i traffici intorno alla legge elettorale sembrano fatti ad hoc per non offrire al Paese una maggioranza chiara dopo il voto. Infatti, quale che sia l’esito delle varie proposte in giro per la Camere, tutto sembra ordito per arrivare comunque alle larghe intese, oppure facilitarle. Insomma, di spostarsi verso una legge elettorale che minimizzi questo rischio e consenta a uno dei tre poli di vincere inequivocabilmente non se ne parla. Paura dei grillini? Dei sovranisti? Dei populisti? Oppure, più semplicemente, paura di perdere il potere acquisito? Le scuse per farla breve sono tante.

Ovviamente si tratta di lana caprina perché non solo gli italiani se votassero in massa potrebbero sconfessare ogni ipotesi, ma poi l’ingovernabilità è solo uno spauracchio. Sì perché l’alternativa a un esito elettorale incerto e indefinito di sicuro non è il baratro, oppure il disastro che paventano. L’abbiamo visto altrove in Europa, dove non è accaduto nulla di drammatico se non il ritorno alle urne per definire meglio le maggioranze e gli orientamenti politici.

Insomma, da noi e da quel che si vede le larghe intese più che un’eventualità non auspicabile sembrano un obiettivo ricercato e voluto. Ricercato da Matteo Renzi e dal Partito Democratico, che altrimenti non avrebbero chance, visti i fallimenti clamorosi, ma ricercato anche da qualcuno che conta accanto a Silvio Berlusconi. Come se non bastasse, questa ricerca sembra affascinare sia gli alti livelli istituzionali e sia un bel pezzo della classe dirigente che pesa nel sistema Paese. Ecco il perché di troppe vaghezze dentro Forza Italia, delle riottosità di Renzi verso la sua sinistra, del movimentismo dei cosiddetti cespugli centristi moderati.

Sia chiaro, parliamo di sensazioni che nascono dalle incertezze presenti, però come diceva Giulio Andreotti a pensare male è peccato ma ci si può azzeccare. Non va bene per niente, le larghe intese o grandi coalizioni che siano in Italia non funzionano e non possono funzionare. Lo abbiamo visto con Mario Monti, con Enrico Letta, lo abbiamo visto con Matteo Renzi, lo vediamo adesso con Paolo Gentiloni. L’attuale Premier in fondo sembra un grande statista solo perché non fa, se facesse, infatti, con la maggioranza che si ritrova salterebbe subito.

Insomma, le ammucchiate elettorali non funzionano, non si può governare fra antagonisti, fra chi ama Equitalia e chi no, tra chi vuole la patrimoniale e chi no, tra chi auspica lo Ius soli e chi lo avversa. Per non parlare della giustizia, dello statalismo e della previdenza, temi sui quali fra Forza Italia e Pd c’è un abisso incolmabile e la gente lo sa bene. Al Paese serve un governo stabile, sintonizzato e coeso, legato da un chiaro minimo comune denominatore che fra Pd e Forza Italia non c’è e non c’è mai stato. Ecco perché gli italiani dovranno evitare l’astensione. Questa volta serve votare e in tanti, solo così le ipotesi stravaganti potranno sconfiggersi a favore di maggioranze certe e inequivocabili. Magari di centrodestra.

Aggiornato il 06 ottobre 2017 alle ore 21:18