Giustizia: prevenzione sì, ma serve molto di più

Ha ragione Carlo Nordio quando dalle colonne de “Il Messaggero” suggerisce di insistere sulla prevenzione piuttosto che sulla repressione dei reati e delle pene.

Nordio, infatti, partendo dall’ennesimo e orrendo caso di stupro in un parco della Capitale, sviluppa tutto un ragionamento intorno all’importanza del sistema “prevenzione”. Il magistrato ha ragione ma non basta, perché il triangolo prevenzione-giustizia-sistema carcerario è talmente collegato che agire su un lato trascurando gli altri produce effetti troppo limitati.

Sia chiaro, una buona prevenzione in ogni campo dovrebbe essere al primo posto ma visto che il male purtroppo non potrà mai essere uguale a zero, serve anche altro. La nostra giustizia in senso lato è catastrofica e non solo perché l’apparato è sotto organico, mancano le attrezzature e quant’altro, ma perché troppe cose non tornano in quel mondo. Non si tratta solo della lentezza insopportabile con la quale arrivano i giudizi, ma dell’inspiegabilità di certi iter, certe indagini, certe sentenze. I cittadini, infatti, non sanno capacitarsi sul motivo per il quale a parità di reato vi siano disposizioni e giudizi tanto diversi, perché troppe denunce restino lettera morta, perché almeno in apparenza il buon senso talvolta sembra non esistere negli atti giudiziari compiuti. È una delle ragioni per le quali nell’opinione pubblica continua a salire la sfiducia nei confronti della giustizia, che appare più vicina ai colpevoli che alle vittime. Per non parlare poi delle cosiddette “lotte fra procure”, delle cosiddette “indagini a orologeria”, insomma del cosiddetto problema della “Magistratura politicizzata”. Si tratta di una questione antica che da Tangentopoli in poi non ha mai abbandonato le cronache e l’immaginario collettivo, contribuendo ad alimentare dubbi, malessere e ovviamente sfiducia.

Del resto il fatto stesso che ogni governo, pur avendo inserito nell’agenda politica il tema della riforma della giustizia, non sia mai riuscito a portarla avanti la dice lunga. Oggi nella testa della gente, e non del tutto immotivatamente, la sacrosanta autonomia dei giudici si è trasformata in una sorta d’immunità divina e l’indipendenza in una specie di arbitrio intangibile. Insomma, i cittadini sia quelli che hanno subito e sia quelli che potrebbero subire, non si danno pace del perché e del per come di certe trascuratezze, di strane indulgenze e di incomprensibili sentenze. Sia chiaro, all’origine di tutto ciò esiste in Italia un sistema di leggi assurdo, aggrovigliato, conflittuale che non agevola il compito e che ha prodotto danni incalcolabili. Insomma, se la magistratura porta con sé un quid di responsabilità, la politica ne porta molta, ma molta di più.

Dulcis in fundo, il sistema carcerario intorno al quale tanto si parla e niente o quasi si fa. Le carceri nel nostro Paese assomigliano più a luoghi infernali, dove tutto può succedere e succede, piuttosto che a istituti di detenzione ove scontare la pena al fine di riabilitarsi. Inutile, infatti, raccontare lo stato delle prigioni italiane e la mancanza di un progetto e di un programma che dia senso al concetto di espiazione della pena come a quello del recupero sociale. Ecco perché prevenzione, giustizia, pena e detenzione rappresentano un triangolo che per essere geometricamente giusto va affrontato in sincrono. Al contrario, nel nostro Paese la mancanza o quasi di prevenzione, associata a una strana interpretazione della tolleranza e a una strana visione dei luoghi di detenzione, ha generato un combinato disposto pericolosissimo. Del resto non è un caso che la stessa Europa anche su questo tema continui a bacchettarci e che molti partner ci definiscano incomprensibilmente indulgenti, oppure inaffidabili. Di certo così non può continuare, si rischia il collasso della giustizia, della società, si rischia il far west, l’innesco di reazioni che alla lunga diventano incontrollabili. Ecco perché al primo posto dell’agenda del prossimo Esecutivo dovrà esserci la riforma della giustizia civile e penale e di tutto il famoso triangolo di cui si compone. In mancanza, l’orizzonte non potrà che diventare più cupo, meno democratico e sempre più rischioso.

Aggiornato il 20 settembre 2017 alle ore 22:17