Basta la parola o basta il programma?

Il messaggio di domenica scorsa è inequivocabile, dunque se nel centrodestra si insistesse nel litigare sui dettagli lessicali sarebbe esiziale. Discutere, infatti, sul significato della moderazione equivarrebbe alla proposta di una conferenza sull’uovo e la gallina.

La moderazione, si sa, è un po’ come il prezzemolo, sta bene ovunque, ma ovunque la si usa e interpreta arbitrariamente, in politica poi non ne parliamo. Ecco perché trovare spunto per litigarci sopra più che inutile appare ridicolo. A destra come a sinistra, infatti, la moderazione entra ed esce dai ragionamenti sulla base dei contesti, delle convenienze, delle opportunità. E poi per dirla tutta chi possiede la licenza esclusiva per certificare chi sia moderato e chi no? Insomma, smettiamola. Del resto, se volessimo per paradosso fare un esempio di quanto il termine possa essere tirato per un verso o per l’altro inutilmente, potremmo dire che Sergio Mattarella è moderato, mentre Giorgio Napolitano lo è stato meno, servirebbe? Per non parlare poi di una eventuale analisi politica storica dell’utilizzo di questo aggettivo, che è stato appiccicato di qua e di là più a sproposito che a proposito. Se, infatti, si facesse, uscirebbe fuori che tanti Padri della Repubblica, la cui dirittura morale e democratica è stata indubbia, potrebbero essere definiti moderati oppure non moderati. Eppure parliamo di uomini il cui senso dello Stato e della democrazia era assolutamente chiaro e cristallino.

Smettiamola dunque di perdere tempo intorno ai sofismi e andiamo al sodo, perché l’unica cosa che conta è il senso e la compiutezza della democrazia. La democrazia, infatti, per definizione è democrazia e basta, non esiste e non può esistere una aggettivazione che le tolga il senso, perché se così fosse ne saremmo fuori e allora ci ritroveremmo in un “regime”.

Insomma, il centrodestra se vuole vincere e proporsi al governo del Paese, piuttosto che litigare sui termini, dovrebbe convergere su un programma unico e impegnativamente condiviso. È infatti sul programma che si misura la coesione di un’area. Se il progetto comune è certificato, la coalizione funziona, altrimenti va tutto a pallino. Ecco perché i leader del centrodestra devono sforzarsi di trovare un decalogo, un minimo comun denominatore da sottoporre al consenso degli italiani. Del resto perdere quest’occasione, lasciare che l’indicazione di domenica scorsa si dissipi nel nulla, disattendere il richiamo degli elettori a una convergenza programmatica, significherebbe davvero non meritarne la fiducia.

Aggiornato il 27 giugno 2017 alle ore 22:34