I paletti televisivi

La regolamentazione del sistema radiotelevisivo italiano è legato al nome di due personaggi politici molto diversi tra l’altro: il repubblicano Oscar Mammì all’inizio degli anni Novanta e il forzista Maurizio Gasparri, all’inizio degli anni Duemila. Tutti e due romani e ministri.

Un’impresa per gli interessi economici in ballo, per le divergenti visioni dei partiti, per il ruolo da fissare per la Rai che era stata per anni il centro dell’emisfero editoriale italiano come monopolista delle trasmissioni e frequenze in concessione da parte dello Stato. I privati dominavano la carta stampata, anche se l’Iri possedeva un giornale, “Il Giorno”, e un’agenzia di stampa, l’Agi.

Per l’editoria c’era stato un primo tentativo di mettere ordine nella materia con la legge del 1981 (istituiva la cassa integrazione per le aziende in crisi) firmata dal Presidente della Repubblica Sandro Pertini e che accompagnava il passaggio della stampa dal sistema a caldo (linotype) a quello dei computer.

Una rivoluzione tecnologica che solo con l’arrivo del digitale ha trovato un assetto produttivo più efficiente. Il merito di Oscar Mammì e poi di Maurizio Gasparri è quello di aver creduto nella necessità di mettere alcuni paletti e stabilire regole che valessero per tutti i soggetti. Un viaggio legislativo arduo non sempre compiuto appieno sia per l’evoluzione tecnologica (satelliti, web, Internet, fibre, cavo) sia per la nascita di nuovi soggetti produttivi (radio e tv locali, superamento dei confini nazionali, torri di trasmissione).

Per Oscar Mammì (un fedelissimo di Ugo La Malfa che si oppose però al varo della televisione a colori) e per Maurizio Gasparri poi gli ostacoli maggiori furono di natura politica e in particolare l’ostracismo delle varie sinistre nei confronti della nuova realtà produttiva privata, impersonata a partire dalla metà degli anni Ottanta dall’imprenditore milanese Silvio Berlusconi.

Mammì si trovò a regolamentare quella che venne chiamata la cosiddetta “opzione zero”, ossia la certificazione del duopolio Rai-Fininvest. La Corte costituzionale, con una sentenza storica, aveva posto fine al monopolio delle trasmissioni da parte della Rai. Nel Nord erano così cresciute imprese che avevano compreso l’importanza economica e politica dei nuovi media ma avevano ancora il diritto di trasmettere informazioni e spettacoli in diretta. Le emittenti privati forzarono la mano e scoppiò “etere selvaggio” con interventi dei Pretori ad ostacolare l’uso delle dirette. Le tivù private utilizzavano le cassette registrate trasportandole da un luogo all’altro con vari mezzi di trasporto.

Lo scenario italiano si divise in due: i favorevoli alla crescita di poli alternativi alla Rai (e tra questi i giornalisti della Fnsi come Giorgio Santerini, Arturo Diaconale, Giuliana Del Bufalo, Guido Paglia, Maurizio Andriolo, Giacomo Lombardi, Angela Buttiglione, Marcello Zeri, Filippo Pepe, Francobaldo Chiocci) e i contrari, tra cui tutto lo schieramento dei giornalisti di sinistra da Luciano Ceschia a Raffaele Fiengo, da Sergio Borsi al gruppo della Subalpina, da Andrea Barbato a Vittorio Roidi, da Corrado Augias a Gabriele Cescutti. Per finire in Sicilia con i capifila Mario Petrina a favore e Orlando Scarlata contrario.

L’allora leader socialista Bettino Craxi fu determinante per sbloccare la situazione ma il suo “decreto” venne considerato un atto di autoritarismo e di favoritismo nei confronti del suo “amico” Berlusconi, non ancora sceso in campo in politica. Lo farà solo 3 anni dopo.

Il clima politico si deteriorò e toccò ancora una volta al “mediatore” Giulio Andreotti riprendere i fili dell’alleanza pentapartiti. I tempi per una legge sulle radio-tv erano maturi. Mammì però dovette superare lo scoglio delle sinistre dc che sferrano un duro attacco giungendo a far dimettere dal governo i quattro Ministri della corrente. Erano Sergio Mattarella, attuale capo dello Stato, Mino Martinazzoli, Carlo Fracanzani, Riccardo Misasi, Calogero Mannino.

Personaggi di primo fila della composita schiera democristiana. Mammì resistette e il provvedimento divenne legge. Il mondo della televisione e dell’informazione avevano bisogno di regole certe. La Rai dopo la riforma del 1979 con la nascita della Rete 2 d’ispirazione socialista si era data dal 1979 una struttura triculturale con l’assegnazione della terza Rete e del suo telegiornale all’intellettuale e scrittore di estrazione marxista Angelo Guglielmi (suo assistente Stefano Balassone cresciuto con Walter Veltroni tra i boys di via delle Botteghe Oscure) e al “giornalista democratico”, collaboratore di “Radio Praga” Sandro Curzi.

La legge di sistema conteneva alcune opacità e criticità ma era la migliore possibile in quel momento. È rimasta in vigore per una decina di anni quando la necessità di un profondo aggiornamento venne portato avanti dal Ministro Gasparri anche sulla base dei cambiamenti intervenuti nella società industriale sotto la spinta delle innovazioni tecnologiche. Gasparri aveva appreso da Pinuccio Tatarella l’arte della pazienza pur di giungere al risultato di un nuovo equilibrio dei media, superando critiche feroci e accuse di favoritismo nei confronti di Berlusconi, ormai a Palazzo Chigi e per questo accusato di “conflitto d’interessi”.

La legge Gasparri resiste nonostante tutti i tentativi di bloccare il libero sviluppo del mercato radiotelevisivo. Le grandi trasformazioni avvenute a livello mondiale con la nascita di enormi gruppi multimediali hanno evidenziato la necessità di rivedere alcuni aspetti al fine di rappresentare meglio la realtà in un settore particolarmente delicato come quello dell’informazione e della comunicazione. Il nuovo Parlamento avrà, in materia, ancora molto da fare.

Aggiornato il 15 giugno 2017 alle ore 09:53