Pm condannati, Galasso: “La battaglia non si ferma qui”

Non si chiude il caso dei magistrati di Caltagirone riconosciuti colpevoli dal tribunale civile di Messina di non avere evitato, malgrado dodici denunce, che dieci anni fa una donna fosse uccisa dal marito. "Ricorreremo in appello perché siano riconosciuti anche i danni morali", annuncia Alfredo Galasso, che con la collega Licia Grimaldi, assiste il padre adottivo dei tre bambini della donna assassinata. "Intanto abbiamo già avviato la richiesta di pagamento del risarcimento stabilito dai giudici: abbiamo inviato, per posta certificata, la sentenza esecutiva della prima sezione civile del Tribunale di Messina alla presidenza del consiglio dei Ministri. Speriamo che la burocrazia non rallenti il pagamento e che venga fatto nel più breve tempo possibile", dice D'Amico. Il tribunale di Messina ha liquidato solo i danni patrimoniali, circa 300 mila euro. "Una cifra - commenta Galasso - che non risarcisce neppure la vittima di un incidente stradale. E in questo caso si tratta di tre bambini". La battaglia giudiziaria quindi continua perché siano riconosciuti anche i danni morali. Il tutore dei figli di Marianna Manduca aveva chiesto un milione di euro. Ma il tribunale di Messina ha detto no. "Si tratta - dice ora Galasso - di una decisione discutibile e ingiusta. Andremo quindi in appello se non riusciremo a trovare un accordo di tipo transattivo con la presidenza del Consiglio dei ministri".

Al centro della battaglia si pone una complessa questione giuridica. La norma del 1988, la cosiddetta "legge Vassalli", limitava ai danni patrimoniali la responsabilità civile dei magistrati, con l'unica eccezione per la eventuale limitazione della libertà personale. "Con l'opportuna riforma della legge - osserva ancora Galasso - due anni fa è stata eliminata questa disparità di trattamento del tutto incostituzionale. Ma c'è di più. La Corte Costituzionale dieci anni fa aveva già stabilito che i danni non patrimoniali debbono essere comunque risarciti ogni qualvolta c'è una limitazione di un bene costituzionalmente protetto: vita e onore, per esempio. E questo è proprio il nostro caso".

La sentenza di Messina contiene comunque quella che Galasso definisce una "novità beneaugurante", almeno sotto due aspetti. Il primo stabilisce il principio che qualcuno a livello istituzionale e, in questo caso, giudiziario "paga per la superficialità con cui vengono abitualmente valutate le denunce di violenza presentate dalle donne". Il secondo aspetto innovativo della sentenza va rintracciato, secondo Galasso, nel fatto che "dei giudici hanno condannato altri giudici". "Magari - aggiunge - accadesse così anche in Parlamento". La sentenza infine supera, conclude il legale, le "diffidenze dei magistrati che temono di vedere limitata la loro indipendenza e quella della gente comune che finora non ha visto promuovere con decisione azioni di responsabilità civile nei loro confronti".

 

Aggiornato il 15 giugno 2017 alle ore 13:00