Buzzi, Carminati e i  processi-fantascienza

Si è già scritto, non fiumi di inchiostro in verità, delle sorprese che sta riservando il processo “Mafia Capitale” ora che sta giungendo al dunque. Il tutto nelle deposizioni dei suoi due principali imputati: Salvatore Buzzi e Massimo Carminati.

Entrambi dipingono un sottobosco romano, di destra e di sinistra, molto permeabile ai finanziamenti leciti (e non) da parte degli imprenditori (e quindi anche da parte delle cooperative) alla politica locale. Buzzi non ha risparmiato Nicola Zingaretti, Walter Veltroni e altri ancora: li ha dipinti come consapevoli di quell’ambiente di dazione ambientale come si sarebbe detto un tempo. Carminati ha espresso il proprio risentito disprezzo nei confronti di Gianni Alemanno e della sua giunta. Per il fatto di non aver voluto pagare il lavoro già svolto della sua mini cooperativa all’interno dell’impero di Buzzi. Ha anche sinceramente dipinto Buzzi come fosse una specie di Marchionne del mondo cooperativo e i politici dell’ultima giunta di centrodestra come poco meno che dei magliari.

Ciò detto, e come volevasi dimostrare da tempo, della mafia nessuna traccia se non nelle ricostruzioni narrate a suo tempo dall’Espresso e oggi sottaciute dalla maggior parte dei giornali che si occupano della vicenda. E ovviamente nelle migliaia di pagine dei vecchi ordini di custodia cautelare. Un noto quotidiano romano ha scritto che Carminati si agitava nella sua gabbia a Rebibbia, dimenticando che era un’immagine virtuale trasmessa da una cella del carcere di Parma. Cose che capitano.

In mezzo a questa caciara, un centinaio di proscioglimenti prima del processo e la caduta del reato di mafia per lo stesso Alemanno. Se fossimo al cinema e non sul palcoscenico della giustizia romana, potremmo dire che “era un bel film di un paio di anni fa”. Quello che invece non si è scritto su questo processo riguarda lo Stato di diritto che andrebbe chiamato “due punto zero”. Che va in onda ogni giorno, questo sì, dall’aula bunker di Rebibbia, tra videoconferenze i cui collegamenti vanno e vengono dalle supercarceri in cui Carminati e Buzzi sono ospitati. Uno è a Parma e l’altro a Tolmezzo (se non erro). Una specie di serie televisiva se vogliamo, solo che si può sentire dalla radio. In pratica si respira un clima da film di fantascienza di serie B che pervade il tutto. Sembra di rivedere quei remake malriusciti di capolavori come “Gattaca”, in cui l’uomo è ormai diventato prigioniero del suo sistema tecnologico creato per salvare il mondo e che adesso si è trasformato in una grande prigione a cielo aperto. Veramente, date le esilaranti deposizioni in aula di Buzzi e Carminati, molto colorite in dialetto romanesco, “de destra” e “de sinistra”, sembrerebbe uno di quei film di fantascienza gestito in parodia con Franco e Ciccio, se non direttamente uno di quei film del compianto maresciallo Giraldi, alias Tomás Milián.

Purtroppo il copione su cui poi gli interrogatori vanno in onda su radioradicale.it è quello scritto dalla procura di Roma. Un processo fatto esclusivamente di colloqui, di “vite degli altri”, che si presta a molti equivoci anche al di là della indubbia professionalità degli investigatori. Per questo il processo penale attuale dovrebbe rimanere orale, come nacque, e non è molto accettabile questa idea di fare tutto in videoconferenza per risparmiare. O per chissà quale altro motivo come pure recenti leggi stanno per imporre.

Il processo “Mafia Capitale” nel suo concreto svolgimento (che solo su radioradicale.it si può apprezzare senza l’approssimazione con cui si ama oggi fare informazione) sta rivelando cose inquietanti del pianeta giustizia e del suo futuro fantascientifico. E forse anche fantapolitico.

Chiedono nei fatti, la gente e i suoi esegeti interessati, che la giustizia sia isolata dalla realtà. Tutto viene intercettato preventivamente come in “Minority report” e reso pubblico per i giudizi della piazza. L’interpretazione prevalente è quella dell’accusa concordata con i media compiacenti (i Telesio Interlandi del fascismo 2.0 in salsa grillin-apocalittica) e, infine, se proprio si deve avere un’oralità processuale, che potrebbe in ipotesi persino smentire tutto quanto raccolto dalla “polizia della verità e della virtù”, la si concepisce con il maggior numero di disturbi tecnici e di interferenze possibili. Onde vanificare il pur ottimo, a quanto è dato sentire, lavoro della Corte.

Ecco, sentendo alla radio il processo “Mafia Capitale”, queste considerazioni balzano alle orecchie.

Aggiornato il 08 maggio 2017 alle ore 13:32