Furbetti e “guardiani”

L’inchiesta apparsa sul quotidiano la Repubblica di martedì scorso, relativa ai rimborsi degli europarlamentari, ha avuto un’eco non di poco conto. Soprattutto perché ad esserne immischiati sono anche vari politici italiani, nonché esponenti di peso dell’euroscetticismo in salsa nazionalista; tra cui Marine Le Pen, Nigel Farage e Jarosław Kaczyński. Gli italiani, come detto, non mancano all’appello in questa inchiesta. E i loro nomi pescano in una certa trasversalità politica, risultandone coinvolti singoli eurodeputati del Movimento 5 Stelle, Forza Italia, Lega ed ex Pd.

La frode consisterebbe nell’assunzione di collaboratori con i soldi che il Parlamento europeo mette a disposizione per tale scopo, ma poi impiegati non come si dovrebbe negli uffici dell’Unione, ma in patria, nelle stanze dei vari partiti di appartenenza.

L’inchiesta è partita da controlli effettuati dall’ufficio preposto a questo scopo a livello europeo, ovvero da quell’European Anti-fraud Office (Ufficio anti-frode) istituito nel 1999 da una decisione della Commissione europea, presa in base all’articolo 325 del Trattato sul funzionamento dell’Unione.

La storia dei “furbetti del rimborsino” fa il paio con quella di altri furbetti a cui noi, purtroppo, siamo tristemente abituati sul suolo patrio: quelli del “cartellino”. Come gli italiani apprendono con una certa costanza dagli organi di informazione, non mancano inchieste relative a clamorosi casi di assenteismo di dipendenti pubblici. Da ultimo, solo per citarne uno, quello relativo ai 94 indagati del personale dell’ospedale partenopeo Loreto Mare, tra cui figurano anche 55 arresti.

Il triste elenco di casi legati a dipendenti che non dimenticano di timbrare, ma di lavorare, potrebbe continuare a lungo. Ne sono piene le cronache. E, come anche dichiarato dal procuratore reggente di Napoli, Nunzio Fragliasso, questo è un “malcostume diffuso, non solo all’ospedale Loreto Mare”.

Due indagini diverse ma che presentano degli aspetti interessanti e su cui forse vale la pena di riflettere. Nel caso dei (presunti) “furbetti del rimborsino” abbiamo visto che ad intervenire è un organo che potremmo anche definire “interno”; ovvero, l’Ufficio anti-frode. Nel secondo caso, e per quanto riguarda i (presunti) “furbetti del cartellino” di casa nostra, le cronache ci dicono che ad intervenire è (praticamente sempre) la magistratura con l’ausilio delle forze dell’ordine. Dunque, un organo “esterno”.

Tuttavia ogni ente pubblico ha dei dirigenti responsabili, e preposti, tra l’altro, anche al controllo dei dipendenti per il regolare funzionamento del servizio. Possiedono strumenti legali atti ad intervenire rispetto a comportamenti relativi ad inadempimenti contrattuali dei lavoratori ad essi sottoposti. Non di rado, le cronache ci dicono che non siamo di fronte a singole persone “furbette”, che potrebbero, più o meno, “mimetizzarsi” all’interno di contesti di una certa grandezza. Ma a fenomeni di “massa”, piuttosto macroscopici.

Senza fare alcuna illazione di presunte “connivenze”, e sapendo che certamente le denunce alla magistratura partono anche da persone interne ai luoghi di lavoro, tra cui i dirigenti, lascia comunque aperto il problema della “supplenza” di autorità “esterne”, le quali vanno a reprimere i comportamenti devianti. Intendiamoci, non che non debbano farlo, o che tra P.A. e magistratura non debba esserci collaborazione, anzi! Ma a quanto pare chi è pagato per vigilare come autorità “interna” non sempre appare in grado di svolgere il proprio lavoro con la giusta attenzione.

La riforma Madia, la quale si prefigge di combattere tali pratiche attraverso la sospensione in 48 ore e licenziamento (entro un mese) per chi viene colto a strisciare il badge per poi andarsene a casa, si poggia anche su un altro pilastro, non meno importante: quello della responsabilizzazione della figura del dirigente. Il quale, se si “gira dall’altra parte” rischia a sua volta il licenziamento. E che ciò sia avvenuto non fa altro che testimoniare come il problema effettivamente esista.

A meno che a qualcuno venga l’impossibile idea di far diventare tutto il pubblico impiego un enorme Panopticon, dove a vigilare deve sempre essere l’occhio della magistratura, con l’ausilio del braccio dei carabinieri, è necessario che chi vi è preposto in posizioni apicali faccia il proprio lavoro. È una questione di legge, etica e responsabilità.

L’intervento della magistratura non può diventare, oltre che sistematicamente sostitutivo, anche “deresponsabilizzante” nei confronti dei dirigenti, pagati per vigilare e reprimere rispetto a casi come quello dei “furbetti del cartellino”. A ognuno il suo lavoro. Uno dei principi su cui si basa il buon funzionamento delle organizzazioni complesse è quello per il quale ogni anello di esse svolga effettivamente la propria funzione. Se ciò non avviene, se ci sono rotture nella catena, il sistema rallenta, si blocca. E che il nostro sistema pubblico non funzioni come dovrebbe è sotto gli occhi di tutti.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 18:09