La responsabilità di un aspirante premier

Matteo Renzi sembra essere all’angolo. La sua proverbiale baldanza appare offuscata in questo momento difficilissimo per lui e il suo partito: il Partito Democratico.

Non c’è dubbio che la grande personalizzazione che ha caratterizzato il Partito Democratico, che con il suo ex segretario-rottamatore si è particolarmente immedesimato in questi ultimi tre anni, oggi crei non pochi problemi, soprattutto in un’ottica di rilancio dell’azione politica. Resa più complessa anche dalla presenza di un uomo ancora targato Pd a Palazzo Chigi.

Ovvio che in un contesto da “blog-postveritiero” in cui ci troviamo, e con forti tendenze giustizialiste che attraversano parti importanti della politica e della società, la vicenda che ha colpito il padre dell’ex premier non aiuta di certo Renzi a concentrarsi su un aspetto fondamentale per un aspirante premier. Ovvero, la politica. Perché ci stiamo avvicinando alle primarie del Pd senza particolare attenzione per la messa a punto di un programma di partito (ed eventuale futuro governo).

All’interno del Pd, inoltre, sembra venire prima il gioco al “riposizionamento”. E lo stesso Renzi sa di trovarsi a camminare su un sentiero dove, con ogni probabilità, non vedrà “inquadrati” alcuni dei suoi ex sostenitori.

L’ex sindaco di Firenze, per qualcuno, non incarna più la stessa granitica certezza di vittoria, o almeno di “presentabilità”, che poteva vantare quando a furor di popolo si prese partito e governo. Oggi, evidentemente, un appuntamento sullo stile Leopolda sarebbe impensabile per un rilancio personale e programmatico di Renzi. E le dichiarazioni di sostegno alla sua candidatura, all’interno del partito, appaiono come una fiducia più alla persona che non alle sue idee.

Mentre qualcuno paragona la sua vicenda a quella di Bettino Craxi, con le procure di nuovo “protagoniste”, appare chiara la difficoltà politica del momento, in cui indubbiamente i fatti giudiziari che vedono coinvolto il padre assumono una valenza, almeno personale, di non poco conto. Però risulta altrettanto chiaro che dalla fine abbastanza rovinosa della sua esperienza di governo l’ex premier non sia riuscito a trovare il bandolo della matassa. E, per questo, non bastano certo alcuni giorni passati in California per farsi venire delle idee. Però, sul periodo di governo, Renzi non appare particolarmente attento all’elaborazione; che non può non tenere conto di un quadro non certo roseo di un triennio dove di speranze ne sono state alimentate tante.

Eppure, in un momento economico e sociale come quello che stiamo vivendo, uno degli antidoti al populismo imperante è proprio quello di dire parole chiare su ciò che si vuol fare per risollevare il Paese da una situazione davvero pericolosa. E di cui, lo stesso Renzi, non può certo dirsi estraneo. Quando andò al governo, una delle critiche che lo tallonavano sempre era quella secondo la quale il premier stesse sviluppando un programma di cui nessun cittadino aveva potuto dire la sua. Ora invece ha la possibilità di iniziare un nuovo percorso “trasparente”, ma deve dargli contenuto. 

Se, secondo Renzi, il reddito di cittadinanza non è una soluzione, bisogna che si capisca anche cosa sia il suo “lavoro di cittadinanza”. Se il Jobs Act non sembra aver avuto, finiti gli incentivi statali alle aziende per le assunzioni, una gran fortuna, è giusto rifletterci e indicare soluzioni alternative o dei modi per rendere la norma più funzionale alle esigenze per cui si è ritenuto opportuno emanarla. Se una riforma costituzionale si è pensata come essenziale per lo sviluppo del nostro Paese, ma che, dopo averla sottoposta al giudizio dei cittadini, è stata sonoramente respinta al mittente, è giusto apprendere che se ne seguirà un’altra e come si intende procedere in tal senso. Se la Corte costituzionale boccia (parzialmente) la legge elettorale dove, sostanzialmente, poggiava molta parte di un progetto politico, allora Renzi deve assolutamente (ora più che mai) mettere in campo un’altra proposta, e farne una battaglia politica, vista la non trascurabile importanza della materia. Se i giovani (e “diversamente giovani”) in questo Paese, allo stato dell’arte, è certo che percepiranno una pensione da fame, chi vuole governare responsabilmente deve indicare la strada che non permetta a tutte queste persone di diventare dei poveri in vecchiaia. Se si crede in una Europa unita come argine ad uno sterile, quanto pericoloso, nazionalismo con sguaiati toni populisti, deve mettere in campo un progetto che indichi la strada e che dia speranza alle persone. Perché, forse, la critica alle istituzioni europee, così come è stata fatta in questi anni, non è sufficiente.

Il segretario del Partito Democratico verrà scelto con le primarie. Ad esse parteciperanno i cittadini, i quali hanno diritto ad avere in mano un programma da leggere. Delle idee su cui riflettere. Le quali rappresentano sempre un argine solido al populismo qualunquista. È una responsabilità non solo di Renzi, ovviamente. Ma lui ha governato e non è un dato trascurabile. Aspettiamo il Lingotto, certo. Ma l’Italia ha fretta di chiarezza rispetto a una classe politica che appare troppo “autocentrata”.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:44