Palme: progressisti a favore, Lega contro

Non è stato un bel vedere quella polemica contro e pro le palme in Piazza Duomo. Per la verità, il tocco di piuma che gli è consueto nelle dichiarazioni soft e in punta di penna, non poteva non essere dell’onnipresente Matteo Salvini: “Ci mancano solo le scimmie con le banane!”. Voleva buttare lì la solita battuta provocatoria per sanzionare la Repubblica delle banane, colpevole, tramite il Comune di Milano, di uno sfregio alla Piazza più Piazza d’Italia e pure alla “Madunina che te brilet de luntan”.

E dunque, potevano mancare le seccate repliche da sinistra? No che non potevano; non tanto o non soltanto perché il sindaco Beppe Sala - prudentemente silente nel merito e nella sostanza - è per forza di cose al vertice della giunta di sinistra che ha condotto quel concorso a sfondo per dir così pubblicitario vinto dalla Starbucks, ma perché hanno dato la pennellata finale al quadro “politico” avviato da Salvini. Cosicché, il mitico “dibbattito” sì è aperto, ferve tuttora, e temiamo proceda, anche se i milanesi se ne sono fatti una ragione al di fuori della politica: che c’entra come i cavoli a merenda. Così come non c’entra l’inquietante “linea della Palma” del grande Leonardo Sciascia tirata in ballo dai soliti sapientoni dell’antimafia da salotto. Che una dozzina di palme, sia pure d’origine cinese, ma provenienti dal lombardissimo lago di Como, e messe ai margini di Piazza del Duomo, possa assurgere al ruolo di simbolo dell’africanizzazione meneghina - ovviamente per la colpevole “sfrenata immigrazione” voluta dalla gauche e pure dal Cardinale in combutta con l’Opera Pia San Francesco - era nello schema da cui era uscita la quotidiana boutade salviniana a uso e consumo di un populismo con qualche sospetto razzista.

Ma la reazione uguale e contraria, in quello che un acuto osservatore ha definito il “bipolarismo delle palme” (Filippo Facci) ha rivelato nella difesa di quelle piante un surplus di strumentalizzazione; come se la palma, così cara ai riti cristiani della Santa Pasqua, andasse giustamente collocata in quel luogo non tanto perché esornativa in sé, quanto per la condanna etnico-politica inflittale dal leghismo. Ci mancava solo la politicizzazione di una pianta. Siamo davvero caduti in basso.

Intanto c’è stato il cretino, anzi il vandalo di turno, che vi ha appiccato il fuoco aumentando il calore di una disfida impropriamente ideologica. In più il risultato, non imprevisto, è che in molti continuano a parlare e a scrivere di quel giardino esotico senza averlo visto coi propri occhi. A tutti gli effetti si tratta di una scelta riguardante essenzialmente l’arredo urbano, la bellezza o la bruttezza di un’aiuola a verde, il miglioramento o il peggioramento di Piazza del Duomo, simbolica quanto mai. L’arredo urbano è in sé e per sé un’arte, ancorché di seconda fila, ma affida sempre ai suoi giudicanti una consistente dimensione che attiene al gusto personale, e non soltanto al buongusto che, pure, dovrebbe sempre sovrintendere le decisioni nell’arredare una città italiana, Milano in primis.

Noi, che passiamo spesso da Piazza Duomo, ci siamo soffermati a guardare le palme prima di giudicarle. Non ne siamo di certo entusiasti e, forse, si poteva fare di meglio. Sempre si può fare di meglio, non c’è dubbio. Ma ciò che assolutamente si doveva evitare era la caduta nel ridicolo di chi ha dato un significato etnico e politico a delle povere piante. E i progressisti della Palma ci hanno messo del loro.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:46