“Mani pulite”, sono passati 25 anni

L’Italia vive di ricordi. E di rimpianti. Per “Mani pulite”, difficile averne. Fu l’inizio di uno stallo economico che dura sino ad oggi. Un declino inarrestabile che non ha avuto contropartita. Sono passati 25 anni e sembra un secolo. Da tutti questi eventi e da tanti altri ancora che ci vorrebbe un libro per enumerare tutti.

Non molto tempo fa ne era uscito uno che potrebbe essere quello più significativo degli ultimi anni: si chiama “Novantatré” e lo ha scritto Mattia Feltri. Il giornalista che nella metà degli anni Novanta si dedicò insieme a pochissimi altri colleghi a cominciare a desacralizzare il mito e il tabù dell’eroe mediatico Antonio Di Pietro. Un compito difficile, ma riuscito in pieno.

Quanto al finanziamento illecito dei partiti, difficile superare il discorso alla Camera in cui Bettino Craxi fece il “mea culpa” anche per conto di tutti gli altri partiti. Radicali esclusi, come sottolineò in aula Marco Pannella in un intervento di replica.

Erano le 17,30 di lunedì 17 febbraio 1992, quando, nel proprio ufficio al Pio Albergo Trivulzio, Mario Chiesa fu arrestato per concussione a causa di una tangente da 14 milioni di vecchie lire che gli era stata appena consegnata da un giovane imprenditore, Luca Magni, che aveva messo a punto l’operazione per “incastrare” Chiesa insieme all’allora sostituto procuratore di Milano, Antonio Di Pietro, e al capitano dei carabinieri Roberto Zuliani.

Avvenne per caso quell’arresto e il retroscena fu soltanto quello consegnato all’agiografia, ossia la moglie di Chiesa che, inviperita per gli alimenti non pagati, fa la soffiata ai Pm milanesi. Ci creda chi vuole e chi può. A Craxi gli americani volevano far pagare Sigonella. Ad Andreotti la protezione di Gheddafi. Tutti debiti accumulati sotto l’amministrazione di Reagan e messi in pagamento da quella di Clinton. E il resto della classe politica non poteva più illudersi di restare sotto il comodo ombrello Nato dopo la caduta del muro di Berlino.

Poi c’è tutto il capitolo sull’inquietante figura di Antonio Di Pietro. Chi lo conosceva prima? Da dove veniva? I libri di Filippo Facci in materia sono sinora l’unica testimonianza possibile, ancorché limitata e di parte. Se oggi alle commemorazioni di “Mani pulite” non ci vanno neanche i colleghi di Di Pietro, Borrelli e Davigo, “un motivo ci sarà”.

Quella rivoluzione, come tutte le altre, si è mangiata i suoi figli. Anche se non tutti i padri. A guadagnarci qualche gruppo industriale ed editoriale, a rimetterci tutto il resto d’Italia; oggi rimbambita da slogan senza senso trombeggiati nei talk-show in tivù come “lotta alla corruzione e all’evasione fiscale”. Che come tutti i fenomeni endemici alla natura umana possono essere limitati ma difficilmente estinti con crociate moralistiche che riducono un intero Paese sul lastrico. Con l’opinione pubblica ad aggrapparsi alle sirene, assai fallaci come si può constatare, dell’antipolitica.

Un giorno, il 17 febbraio del 1992 verrà ricordato come la data della fine della crescita economica in Italia. E della prevalenza della politica sulla finanza. Alzi la mano chi oggi è entusiasta di questo.

Aggiornato il 08 ottobre 2017 alle ore 22:43