Arroganza democratica

C’è sempre qualcuno pronto a farci notare, storcendo il naso, che applicare il concetto di destra e sinistra al mondo occidentale è un esercizio inutile e miope. Molto spesso questo “qualcuno” dispensa simili perle di saggezza dai giornaloni acculturati e progressisti. Noi, che facciamo quotidianamente esercizio di modestia, continueremo a sostenere che esiste un filo conduttore in grado di unire le varie sensibilità politiche pur riconoscendo l’importanza delle sfumature culturali e delle peculiarità nazionali.

Ciò non toglie che, ovunque sia presente, la sinistra si caratterizzi per l’arroganza con cui sostiene le proprie tesi non ammettendo contraddittorio alcuno e derubricando le opinioni altrui a ragli provenienti dagli asini incolti delle cosiddette destre, termine a cui spesso si aggiunge il grazioso appellativo di xenofobe, populiste, radicali e chi più ne ha più ne metta. Non sentirete mai uscire dalle colte bocche di lor signori il termine destra, se non accompagnato da un aggettivo poco carino come a voler negare dignità alla controparte politica.

Prendete ad esempio il tema migratorio: per anni ci hanno rotto i timpani con l’importanza dell’accoglienza declinando tale valore sia in termini umanitari sia come opportunità di sviluppo per il dante asilo. Per anni ci sono venuti a dire che i migranti erano delle risorse che ci avrebbero arricchito con il loro lavoro ma anche con la mescolanza tra culture. Chi non sosteneva questa tesi era un cretino o uno sciacallo che utilizzava le paure del popolo per un proprio tornaconto personale. Chi poi agitava addirittura lo spauracchio islamico, alzando il ditino e facendo notare che alcune scarse flessibilità dei maomettani erano pericolose, incorreva nel reato di lesa maestà. Pensate che dopo l’esplosione delle periferie inglesi e francesi o dopo gli attacchi alle Torri Gemelle piuttosto che in Francia, Belgio o Germania abbiano cambiato idea? Affatto, a costo di negare l’evidenza, loro hanno ragione e gli altri torto marcio senza possibilità di appello. Adesso il nemico è Donald Trump, il demonio da sconfiggere, da delegittimare, da contestare e bloccare in qualsiasi modo. Hanno cominciato con le proteste di piazza a valle della sua elezione alla Casa Bianca, una roba quanto meno surreale per chi si definisce democratico quella di contestare l’elezione democratica di un Presidente. Il quale adesso viene tacciato di razzismo perché vuole, udite udite, addirittura investire qualche miliardo di dollari per fortificare i confini a sud degli Stati Uniti arginando gli ingressi irregolari dal Messico. Inutile stare a raccontare che l’opera fu costruita da Clinton e manutenuta da Obama perché tanto lo scandaloso razzista è Trump e sul resto pregasi sorvolare.

Sono scesi in campo tutti, dalla carta stampata al mondo dello spettacolo per gridare tutta l’indignazione contro il nuovo Mandarino artefice della Grande Muraglia che adesso se la prende con i poveri messicani mentre poco prima aveva mercificato le donne (detto dai sostenitori di Bill Clinton fa un certo effetto). Manifestazioni, controriforme ad opera della magistratura (questa l’abbiamo già sentita in Italia?) e dichiarazioni da parte dei vip sono arrivate anche in occasione dell’ordine esecutivo emanato dall’amministrazione Trump volto a sospendere per tre mesi l’ingresso negli Usa per i cittadini di sette Paesi: Siria, Libia, Iran, Iraq, Somalia, Sudan e Yemen.

Pensate che sia utile puntualizzare che quei sette Paesi li aveva selezionati Obama (Terrorism Travel Prevention Act) e che nel provvedimento non c’è scritto che il blocco riguarda i musulmani? No, Trump è un razzista islamofobo tanto che i patron di Starbucks, Nike e Google hanno deciso di ribellarsi creando canali assuntivi preferenziali ed aiuti vari in favore dei discriminati, cosa mai vista ad opera di chi dovrebbe pensare a fare impresa e non politica. A voler pensare male verrebbe quasi da insinuare che queste grandi multinazionali non ne facciano una questione di diritti umani, ma di manodopera a basso costo da sfruttare con la scusa della “terra delle opportunità”.

E così, mentre Barack Obama ha fatto sanguinose guerre in giro per il mondo e l’Europa paga Erdogan per chiudere le frontiere con la Siria, Trump protegge i suoi confini in proprio ed è tacciato di qualsiasi nefandezza. Tanto che anche Justin Trudeau, il primo ministro del Canada, si è sentito in diritto di fomentare questo clima di odio lanciando un chiaro messaggio ai rifugiati colpiti dal decreto del presidente americano teso ad assicurare loro una giusta accoglienza in Canada. E neanche le gesta di un pazzo che imbraccia il fucile e fa fuoco in una moschea canadese servono a far capire che il disagio sociale è forte e l’ondata migratoria insostenibile, oltre che mal tollerata dalla cittadinanza. Ci verranno a raccontare che si tratta di uno squilibrato vicino agli ambienti nazisti (il che è sicuramente vero) ma mai nessuno che faccia autocritica e si domandi se la pressione migratoria (agevolata a fini ideologici) mascherata da “favola dell’accoglienza” non sia una bomba pronta a far esplodere l’Occidente “normale” ed a fomentare gli squilibrati.

Aggiornato il 07 aprile 2017 alle ore 17:58